giovedì 1 dicembre 2016

Incontro Istituto Ignazio Buttitta - Bagheria 30 novembre 2016



Giorno 30 novembre 2016 abbiamo tenuto il nostro terzo incontro presso la scuola Buttitta di Bagheria. A portare la loro testimonianza sono Antonio Zangara e Giovanni Busetta, rispettivamente figli di Salvatore Zangara e Pietro Busetta.

Antonio comincia il suo racconto parlando della memoria come impegno e inquadrando subito la situazione esistente tra gli anni 70/80 nel palermitano. Da Cinisi/Carini fino alla zona del bagherese le famiglie mafiose dei Bontade, Badalamenti e Liggio spadroneggiavano monopolizzando il traffico della droga. Erano padroni incontrastati del narcotraffico che vedeva gli stupefacenti arrivare all’aeroporto di Punta Raisi, venire raffinati in laboratori lungo tutta la provincia e poi esportati in tutto il mondo. Questo quadro comincia a cambiare con l’ascesa dei corleonesi con cui decide di affiliarsi la famiglia mafiosa del paese di Cinisi, la famiglia Di Maggio guidata dal capostipite Procopio. Da qui nasce il tentativo di sterminare la famiglia che aveva voltato le spalle;  viene ucciso uno dei figli e la paura costringe gli altri familiari a vivere blindati in casa ed a uscire solo facendosi vigliaccamente scudo con i ragazzi che tornavano a casa da scuola.

Il  7 ottobre 1983 è un normale sabato pomeriggio quando il boss del paese, approfittando dell’abituale  flusso dei passanti e dei concittadini che si intrattengono nella piazza, è presente al bar Palazzolo al centro del paese. Dal corso principale avanza una macchina con i fucili spianati nel tentativo di eliminare il mafioso traditore che però rimane illeso. In questo agguato vengono invece ferite tre persone  innocenti e Salvatore Zangara, seduto tranquillamente al tavolino del bar per trascorrere serenamente il pomeriggio con gli amici, viene ucciso.
Antonio a quell’epoca è solo un ragazzo di diciotto anni, figlio di una normalissima famiglia, improvvisamente qualcuno lo avvisa che suo padre è stato ucciso. Il normale sabato pomeriggio diventa un pomeriggio di tragedia, la vita della famiglia Zangara viene capovolta.
Per venticinque anni Antonio non riesce a parlare di suo padre per uno strano senso di vergogna che lo attanaglia nonostante la certezza (suffragata anche dalle indagini) che suo padre fosse una persona assolutamente estranea ai fatti, morta solo per un tragico caso!
Per venticinque anni a Cinisi cade l’oblio su Totò Zangara, il silenzio è rotto da Antonio spinto dall’amore e dalle domande dei suoi figli. E’ giusto restituire ai nipoti la figura di questo nonno mai conosciuto. Comincia così un percorso di testimonianze rese in numerosissime occasioni tra cui anche una trasmissione radiofonica di Pif in occasione dei 100 anni di Procopio Di Maggio a cui Antonio ha augurato di vivere altri 100 anni. Che il boss possa continuare a viverli come ha fatto finora tra carcere, latitanza e con il peso di figli uccisi o in regime di 41 bis.

La parola passa a Giovanni Busetta figlio di Pietro Busetta, imprenditore bagherese ucciso il 7 dicembre del 1984. L’unica “colpa” di Busetta era quella di essere il cognato di Tommaso Buscetta pur essendo assolutamente distante dalla sua vita e non avendone mai abbracciato il modo di vivere dedito alla delinquenza.
Pietro Busetta è vittima di una vendetta trasversale per ritorsione verso il pentimento del boss. Per dieci anni, fino alla morte del pentito, la famiglia è costretta a vivere scortata. La paura finisce solo con la scomparsa di Masino Buscetta. Solo una ferma determinazione, un forte amore per la propria terra e per l’attività imprenditoriale costruita dal padre, impediscono a Giovanni, nonostante i tanti inviti anche istituzionali, di lasciare la sua città. Attraverso i figli, Giovanni Busetta oggi continua ad onorare un giuramento fatto al padre subito dopo la sua uccisione: nonostante tutto quello che era successo, la famiglia e l’azienda sarebbero rimaste sempre in piedi.


Ancora una volta abbiamo ascoltato due storie di vittime innocenti che nella loro vita si sono imbattute tragicamente nella mafia. Contrariamente a ciò che purtroppo è l’immaginario collettivo, la mafia non ha assolutamente un codice d’onore, non è vero che ammazza solo per regolare conti con qualcuno che ha intralciato loro la strada. La mafia è un cancro che se non conosciuto e combattuto adeguatamente rischia di stritolarci in una spirale di morte e distruzione.

lunedì 28 novembre 2016

Incontro Istituto Alberico Gentili 25 novembre 2016

Continuano i nostri incontri con le scuole e giorno 25 novembre siamo stati presenti alla scuola Alberico Gentili per sentire la testimonianza di Giulio Francese, figlio del giornalista Mario e fratello di Giuseppe Francese.
Un folto gruppo di studenti ci accoglie attento e subito il nostro ospite li invita a fare delle scelte nella loro vita, scelte che possono già essere quelle di piccoli gesti di civiltà come il non buttare a terra una cartaccia.
Esordisce dicendo che la mafia cancella le persone e che invece il nostro compito, il compito di chi resta è quello di fare memoria come atto di giustizia verso chi è stato ucciso.
Per circa due ore ci parla di suo padre, il giornalista Mario Francese ucciso il 26 gennaio del 1979 a Palermo per ordine della mafia corleonese.
Furono proprio le sue ostinate indagini sulla mafia emergente dei corleonesi  a decretare la sua uccisione.
Fu il primo a teorizzare l’esistenza di una “commissione” mafiosa (anni più tardi le deposizioni del pentito Buscetta parlarono di una “cupola” mafiosa con le sue gerarchie)  e a capire che era in atto una vera e propria guerra di mafia con cui i corleonesi miravano a prendere il controllo della mafia palermitana che era stata finora meno sanguinaria.
Mario Francese fu il primo giornalista ucciso in Sicilia, come sempre tra il silenzio della cittadinanza e, soprattutto, dei colleghi dei giornali.
Alla sua morte la vita dei figli viene stravolta; Giulio, ventenne, diventa improvvisamente il capofamiglia  e Giuseppe, di soli dodici anni, è costretto, nonostante la sua fragilità, a diventare un gigante.
Sarà proprio Giuseppe ad avviare un certosino lavoro di ricerca tra tutti gli scritti del padre, ad archiviare ed a digitalizzare quanto era stato prodotto da Mario Francese.
Questo immane sforzo fece sì che potessero, dopo più di un ventennio, essere riaperte le indagini ed arrivare ad un processo che vide condannati gli assassini tra cui Riina, Bagarella e Provenzano e che, nella sentenza di appello, addusse tra le motivazioni dell’uccisione “lo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni ‘70”.
Nel  2002, svuotato ormai dallo sforzo della ricerca e sentendo quasi di aver portato a termine la sua missione, il figlio Giuseppe si toglie la vita.
Numerosissime e attente arrivano le domande dei ragazzi avvinti da questa ennesima tragica vicenda della nostra città.

Ancora una volta speriamo che attraverso questa esperienza possano maturare nuove coscienze e nascere nuovi e migliori cittadini di domani.

giovedì 24 novembre 2016

Incontro I.C. Scelsa - Palermo 24 novembre 2016



Credo che la misura che qualcosa nel DNA delle giovani generazioni stia cambiando rispetto al concetto di legalità e di conoscenza del fenomeno delle mafie, sia racchiusa nella foto che vedete pubblicata sopra il post. Decine e decine di ragazzini di scuola elementare e media che si accalcano e fanno a gara per avere l’autografo di Ferdinando Domè, figlio di Giovanni Domè vittima innocente della strage di Viale Lazio.
Insieme  a Nando, nell’ambito del concorso intitolato al nostro caro Giovanni Palazzotto, siamo stati oggi all’istituto comprensivo Scelsa,  una scuola che abbraccia un vasto territorio palermitano attorno a Via Altofonte ed ai Pagliarelli.

E’ stata una mattinata con tanta emozione nel sentire raccontare una storia avvenuta più di quaranta anni fa ma che ritorna attuale attraverso il ricordo di Nando perché il dolore di un figlio, di una moglie, non va mai in prescrizione.

Centinaia di occhietti attenti erano lì, pronti ad ascoltare ogni parola. La storia di questo bambino di 11 anni, adesso adulto, è diventata la loro storia. Erano tutti desiderosi di capire come avesse vissuto questo dolore, come avesse superato il trauma della perdita di un papà.

La vita della famiglia Domè viene stravolta il 10 dicembre del 1969 quando, a seguito dell’uccisione del boss Michele Cavataio e di altri suoi sodali, rimane ucciso anche Giovanni Domè che, assolutamente estraneo a qualsiasi vicenda di mafia, si trovava lì per riscuotere un anticipo sulla sua paga.
Da quel giorno è l’inizio di un calvario per la moglie ed i cinque figli (il più piccolo di soli 18 mesi) che si vedono costretti  a vivere in collegio ed a vedersi additati come figli di un mafioso e per questo isolati dai compagnetti.

Ci sono voluti quarant’anni ed un nuovo processo per vedere i colpevoli condannati all’ergastolo e la figura di Giovanni Domè riabilitata. Quarant’anni per riuscire a rompere il silenzio e per consentire a Nando di uscire dal suo guscio di dolore e di raccontare chi era suo padre.


Alla fine della storia un groviglio di mani si è alzato per fare mille domande, per chiedere tanti particolari a cui pazientemente si è data risposta ed alla fine delle quali si è proiettato un video in cui si sono rivissuti i momenti  di questa vicenda di una tranquilla famiglia che avrebbe potuto essere ciascuna delle nostre.

domenica 26 giugno 2016

Fare memoria viva di Liborio Martorana



Il venticinque giugno di ventiquattro anni fa il giudice Paolo Borsellino teneva il suo discorso pubblico nell’atrio della Biblioteca comunale di Casa Professa. Era appena passato un mese dall’eccidio di Capaci, dalla morte del suo amico Giovanni Falcone della di lui moglie e degli agenti di scorta. E quel venticinque giugno Paolo Borsellino in quell’atrio lasciò in dote a quella schiera di cittadini onesti il suo testamento, come se fosse cosciente che di li a qualche settimana anche lui avrebbe subito la sorte dell’amico Giovanni.
Da ben sei anni l’Associazione Cittadinanza per la Magistratura in questo stesso posto ed in questo stesso giorno, ricorda il magistrato e gli uomini della sua scorta trucidati in una guerra tra forze impari e commistioni politico-mafiose. Ogni anno l’associazione ha voluto ricordare ponendo di volta in volta una tematica inerente la questione mafia. Quest’anno si è voluto porre l’attenzione sul fare memoria, perché come diceva il nostro amato Giovanni Palazzotto “commemorare è giusto ma ricordare è meglio” e tutti noi siamo convinti che un popolo senza memoria è un popolo destinato ad uno sterile futuro. Davanti ad una platea poco numerosa ma fondamentalmente attenta si sono espressi fior di relatori moderati magistralmente dalla giornalista Gilda Sciortino direttore responsabile di Radio Off.
L’iniziale saluto di casa della direttrice della biblioteca comunale Dottoressa Eliana Calandra ha dato avvio all’incontro in un pomeriggio assolato ed afoso. Subito dopo l’attrice Sofia Muscato ci racconta le sue sensazioni in quel diciannove luglio del 1992 e lo fa con una verve dolce ed accattivante che l’applauso finale più che d’obbligo è spontaneo e sentito. E’ ovvio e non poteva mancare il saluto della presidente di Cittadinanza per la Magistratura Roberta Sanzone, la quale oltre a ringraziare gli intervenuti ha tracciato un ricordo del nostro amico Giovanni Palazzotto anima motoria di CpM perito tragicamente lo scorso 1 agosto lungo la statale 113.
L’inizio del dibattito vede la moderatrice Gilda Sciortino introdurre i relatori ricordandone l’impegno profuso nella cultura della legalità e della lotta a cosa nostra. Il primo relatore è il dottore Alfonso Giordano – giudice del primo maxi processo: Esordisce dicendo che il maxiprocesso fu il trionfo dell’istruttoria di Falcone e Borsellino e di tutto il pool. Ricorda il terrore di quel periodo e degli arresti che furono fatti con le conseguenti condanne. Cita Paolo Borsellino quando il 4 luglio del 1992 parlando con i colleghi di Marsala disse di essere cambiato giustificando quel cambiamento con la perdita di entusiasmo dovuta alla morte dell’amico Giovanni Falcone. Dopo gli attentati sembrò essere sancita l’inutilità della lotta a cosa nostra, mentre oggi si celebra il coraggio e la fede che non si è spenta. “quasi 500 imputati ed oltre 2000 anni di carcere oltre le enormi pene pecuniarie. Si faceva udienza tutti i giorni e queste udienze si protrassero per oltre 2 anni”. Alfonso Giordano nel suo finire ricorda anche la signora Agnese Borsellino leggendo una lettera scritta in occasione di una sua visita alla signora Agnese già gravemente malata per donarle un libro e sedendosi nella scrivania di Paolo Borsellino non potè non provare una grande emozione con un nodo che gli stringeva la gola.
L’antropologo professore Buttitta figlio del grande poeta bagherese Ignazio ricorda Agnese Borsellino in quanto era stata la sua segretaria e racconta un fatto del tutto inedito, cioè, che Paolo Borsellino era uno studioso dell’Antico Testamento della Bibbia e racconta di una chiacchierata con Paolo prima dell’attentato sul libro del Siracide. “Questa è una città senza memoria” citando Umberto Eco, “una città di animali”.  Terminando il suo sintetico intervento racconta di una domanda posta un giorno a Paolo Borsellino ed è la tipica domanda che si pone a personaggi che si occupano di legalità, “Perché lo fai? Lo faccio perché si compia la volontà della terra che da i suoi frutti”.
Giovanni Paparcuri, testimone oculare sopravvissuto all’attentato al giudice Chinnici in via Pipitone Federico dove perse la vita il giudice, l’appuntato dei carabinieri Bartolotta ed il portiere dello stabile. Giovanni Paparcuri ha lavorato a contatto con Giovanni Falcone raccontando di tutti quei giorni chiusi nelle stanze bunker del tribunale. Si auto pone una domanda e si da la risposta: “Ne vale la pena? Ne vale la pena si perché il sopraggiungere del senso del dovere, inteso come senso di affetto e passione”.  Giovanni pone l’accento sui sopravvissuti delle stragi, dimenticati dai più probabilmente perché rimasti vivi ed invita a tenerli in memoria. Racconta il suo primo incontro con Paolo Borsellino che avvenne in ospedale, dove provò il dolore più forte che avesse provato dopo l’attentato di via Pipitone, dolore dovuto al fatto che Paolo Borsellino nel salutarlo poggiò la sua mano sul petto di Giovanni che in quel momento aveva problemi ai polmoni dovuti all’esplosione dell’attentato. Borsellino quasi mortificato scusandosi si allontanò.  Giovanni Paparcuri parla di alcuni episodi con il giudice Borsellino sottolineandone la grande umanità. In questi giorni Giovanni Paparcuri si è reso protagonista dell’attuazione del museo Falcone – Borsellino all’interno del tribunale proprio in quei locali che hanno visto i due giudici mettere in pratica le intuizioni del proprio lavoro. Nella stanza di Falcone ci sono tutti gli oggetti e gli strumenti che il giudice con il suo gruppo di lavoro utilizzava, strumenti che oggi fanno sorridere chiunque abbia un minimo di competenza della strumentazione investigativa. Sulla scrivania di Falcone, Paparcuri ha posizionato il verbale di interrogatorio fatto a Tommaso Buscetta, ben 408 pagine scritte interamente a mano.
Il magistrato dottore Frasca – presidente della ANM Palermo ci racconta del museo della memoria realizzato perché dopo le stragi gli uffici di Falcone e Borsellino vennero smembrati e dimenticati, passati nell’oblio del dimenticatoio. Racconta un po’ degli inizi di Falcone e Borsellino al palazzo di giustizia dopo la morte di Cesare Terranova nel 1979. Negli uffici a piano terra del tribunale che davano di fronte al quartiere Capo inizia il primo processo col metodo Falcone, il processo Spatola uno dei più grandi palazzinari mafiosi della città. Con il metodo Falcone si intendeva il seguire i flussi di denaro di cosa nostra. Erano anni particolari quelli del 1980, i morti si contano con il pallottoliere e Paolo Borsellino si imbatte per caso in processi di mafia (cosi diceva lui).  Con il processo per l’omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, Rocco Chinnici si inventa il pool antimafia con Falcone, Borsellino, Guarnotta e Di Lello. La grande intuizione di Giovanni Falcone fu la procura nazionale antimafia, il lavoro di gruppo. Il dottore Frasca termina tracciando un breve ritratto di Francesca Morvillo e della sua grande professionalità.
Il professore Di Chiara, ex avvocato ed ora docente universitario inizia un discorso sui giovani e su come dobbiamo porci nei loro confronti.  Spesso ci si interroga sull’interesse o meno dei giovani a questi eventi. Ma i ragazzi ci sono e si vede da alcuni segnali che ne confermano la presenza.  Cita Montale: “Noi siamo come api ronzanti che formano parole senza rumore e un giorno queste parole senza rumore che teco educammo nutrite di stanchezze e di silenzi parranno a un fraterno cuore sapide di sale greco”.  Parla di Azzurra, una sua allieva e della sua tesi,  di come certi giovani si approcciano al contesto della memoria, con la speranza di mantenere sempre viva la memoria per un futuro migliore concludendo con le parole di Rocco Chinnici “la rassegnazione sarebbe il pericolo più grande”.

Dopo l’intervento di Salvatore Licari, commercialista di Canicatti, Vincenzo Agostino, Massimo Sole, Guido Noto La Diega, Augusta Schiera Agostino, Graziella Accetta e Liborio Martorana, si conclude l’incontro con il pensiero del dovere  coltivare la speranza. E mentre le prime ombre della sera cominciano a scendere ci si avvia verso l’uscita con la consapevolezza dell’aver fatto memoria viva e di avere onorato coloro che per noi misero in gioco la loro vita.

mercoledì 25 maggio 2016

Incontro del 19 maggio 2016

Incontro del 19 maggio presso la scuola Capuana di Palermo con i signori Domino genitori del piccolo Claudio e con Massimo Sole fratello di Giammatteo entrambi vittime innocenti della mafia.

Ricordiamo l'incontro attraverso le parole di due studentesse:

La morte di un ragazzo lascia perplessi. Quando sento una notizia come la vostra penso subito al ragazzo, all'interruzione del proprio progetto di vita anche se da ragazzini come Claudio non si ha un'idea ben precisa, le decisioni cambiano sempre.
Poi penso a voi, i genitori, i parenti.
La perdita di un figlio è la cosa più brutta che possa capitare nella vita.
Peró, nonostante tutto, oggi mi avete insegnato ad andare avanti nella vita e continuare sempre a sorridere e affrontarla con felicità.
Certo, come ci avete detto oggi, ogni tanto ritorna questo pensiero: "Perchè io sono qui e mio figlio no? Avrei dato la mia stessa vita per lui!"
Grazie per averci dedicato questo momento anche se non facile.
-Da Giorgia per la famiglia Domino


"Non credo ci sia dolore più forte di quello della perdita di un figlio. Comincio così, in maniera diretta senza preavviso,senza RETORICA, perché voglio trasmettere chiaramente la terribile vicenda accaduta alla famiglia Domino. Quel giorno di quasi 30 anni fa, improvvisamente fu stroncato il futuro del piccolo Claudio a causa della mafia, una massa di delinquenti il cui obbiettivo è rovinare la vita della gente per ricavarne sempre qualcosa in modo illegale. Ha detto bene la mamma di Claudio:- LA MAFIA ENTRA DOVE Ć È IGNORANZA:- e riflettendo su questa frase ho capito che non smetterò mai di studiare !
Io non sono madre... ma immagino il dolore atroce che si possa provare nel momento in cui tuo figlio perda la vita e ancora di più quando la morte è provocata da qualcuno in modo violento.
Non credo ci vogliano molte parole per descrivere un simile accaduto... un evento incisivo, forte,terribile irremovibile dalla propria testa, dai propri ricordi..ti senti smarrito e la voglia di evadere ti pervade ; entri in un mondo parallelo ma ad un tratto contro la tua volontà ritorni nella realtà e ti accorgi che non sei solo e che hai qualcun altro da accudire e lì è la vera FORZA quando cerchi di rinascere, di riprendere in mano la tua vita.
I genitori di Claudio ne sono un esempio... fingono sorrisi per il bene degli altri figli e nonostante il dolore, continuano a lottare e ad insegnare a chi li circonda a non avere paura. 
La loro presenza nella mia scuola è una testimonianza importante .
Hanno fatto riflettere tutti...eravamo tutti così attenti...anche i più distratti e superficiali
Vi sono vicina dal profondo del mio cuore.
Da Sofia alla famiglia Domino, vi ringrazio di avermi dato qualcosa in più..."


venerdì 1 aprile 2016

Giovanni Palazzotto era un uomo buono di Simonetta Genova


Giovedì 31 marzo 2016 Cittadinanza per la Magistratura si è recata presso la scuola media inferiore Alberico Gentili insieme a Vincenzo Agostino, poiché mamma Augusta era assente per un leggero malessere. La professoressa Balsano, responsabile per la legalità, ci ha introdotto con grande cortesia al Dirigente Scolastico e alle tre classi di terza.

Il racconto di Vincenzo Agostino, cui si è aggiunto l'agghiacciante resoconto del riconoscimento dell'agente soprannominato ''faccia da mostro'', ha commosso e catturato l'attenzione dei ragazzi e dei docenti; poi, una speranza ha illuminato questa triste storia: il magistrato (donna) che ha dato seguito alle istanze del sig. Agostino e di sua moglie, fu a suo tempo un'alunna che, come questi ragazzi, ascoltò con trepidazione il racconto di Vincenzo. 

Abbiamo parlato molto di Giovanni Palazzotto, il nostro caro amico la cui assenza è stata per noi tangibile e pesante. Lui, che ci sapeva fare coi ragazzi e non solo, stavolta non c'era, ma ci ha ispirato e ha vegliato su di noi. Proprio grazie a lui ci siamo trovati lì, perché l'Alberico Gentili è una di quelle scuole che stanno partecipando al Premio Giovanni Palazzotto che abbiamo da poco istituito.

Ecco le parole rivolte ai ragazzi.


Giovanni Palazzotto era un uomo buono.

Un cittadino italiano che ha fatto tanto per la nostra città.

Amava molto la Natura, la Giustizia e il Prossimo: in particolare, amava i giovani e i bambini.

Per loro ha fatto tanto, ha girato per le scuole, ha parlato con loro, ha fatto capire loro cosa è bene e cosa non lo è, cosa è giusto e cosa fa male agli altri e alla società.

Per voi potrebbe essere come uno zio.

Qui infatti c'è una fotografia che lo ritrae insieme a dei bambini di un quartiere disagiato. Bambini che potreste essere voi, solo che sono stati più sfortunati.

Anche se lui non c'è più, noi ci ricorderemo sempre di lui.
Il suo profilo facebook è ancora traboccante di tutte le belle cose che vengono continuate grazie al lavoro instancabile che ha fatto.


Anche se non c'è più, Giovanni rimane presente con le tante lezioni che ci ha dato. Lezioni che non vogliamo perdere e che vogliamo condividere con tanti altri ragazzi come voi.

venerdì 23 ottobre 2015

Senza alcuna attenuante - dal blog Bloggheggiamo

Ciò che dice la signora Saguto dei fratelli Manfredi e Lucia Borsellino è semplicemente vergognoso e sta a dimostrare quanto sia in stato avanzato la cancrena per il disprezzo dei sentimenti e della dignità altrui : Bene fa Manfredi Borsellino assieme alla sorella Lucia a non rispondere a queste deplorevoli parole. Infatti ciò che ha proferito la signora in questione oltre a non meritare alcuna considerazione, non le si possono dare neanche le attenuanti generiche, ed anche se non si tratta di reato, certamente c’è una morale che dovrebbe essere messa in primo piano. Il colloquiare al telefono con una conoscente parlando male dei figli di Paolo Borsellino non credo possa essere espressione di un parere, bensì l’espressione di una cattiveria immotivata, e se da un lato la signora dipinge Paolo Borsellino come un suo caro amico personale dall’altro parla malissimo dei figli di questo carissimo amico. Viene da pensare che qualcosa non funziona, se non altro perché Lucia Borsellino ed il fratello Manfredi mai hanno dato adito a pettegolezzi od a situazioni poco chiare. Ma in tutto questo prendendo l’accusa fatta alla Borsellino etichettata come “cretina”, mi viene da pensare e cercare di capire per quale motivazione Lucia possa essere una cretina. Forse perché non ha gestito i suoi compiti istituzionali col sistema Saguto? Forse perché non ha cercato posti per i suoi amici o familiari barattando il diritto pubblico con l’interesse privato? Oppure perché non ha saputo fare la bella vita? Ecco se Lucia Borsellino per tutto ciò è una cretina allora sappia la signora Saguto che c’è una maggioranza di italiani che ammira questa categoria di cretini a dispetto del suo modo di agire svelato dalla procura di Caltanissetta. Poi passando al fratello Manfredi cerco di capire da cosa può derivare il suo essere squilibrato. Forse perché ancora si commuove al ricordo pubblico del padre Paolo? Dice la signora Saguto alla amica ignara di essere ascoltata dalle forze dell’ordine e alla quale sta esprimendo le sue esternazioni; “Ma che minchia si va commuovendo ancora dopo ventitre anni dalla morte del padre?” Una frase che dimostra e mette in evidenza tutto lo squallore e la pochezza d’animo di chi è abituato probabilmente a discutere in questi termini e ci mostra ciò che spesso si nasconde nell’animo umano. Il tempo dirà da chi siamo circondati. Per adesso cerchiamo di fare fronte in difesa di questi due ragazzi, di questi figli dell’espressione più bella che la società palermitana abbia mai potuto avere. Il caso Saguto e bella compagnia sta svelando tutto l’intreccio delle magagne che si nascondevano fino ad una settimana fa nel’ufficio di prevenzione del tribunale di Palermo, addirittura tirando in ballo tramite intercettazioni telefoniche l’attuale prefetto di Palermo ed un sistema di spartizione ad uso famiglia di posti di un certo rilievo. Il pubblico gestito da privato. Dopo il marasma venuto fuori da questa indagine e dalle intercettazione effettuate dalla procura di Caltanissetta sarebbe giusto che tutti le figure negative avessero la dignità ed il rossore in faccia di lasciare i posti a tutti i livelli che fino ad oggi hanno occupato, gestendo le loro funzioni a discapito dello stato e degli italiani. Buona parte della società italiana che si richiama ai valori lasciateci dai padri costituenti e da eroi come Falcone, Borsellino, La Torre, Chinnici assieme a tutti gli altri che hanno immolato la propria esistenza per la bellezza della legalità, della giustizia e della democrazia, possano un giorno vivere in una società migliore di quella che questo tempo ci sta propinando e dove la cultura della legalità possa diventare un componente del dna di ogni singolo individuo.
Liborio Martorana