Giorno 30 novembre 2016 abbiamo tenuto il nostro terzo
incontro presso la scuola Buttitta di Bagheria. A portare la loro testimonianza
sono Antonio Zangara e Giovanni Busetta, rispettivamente figli di Salvatore
Zangara e Pietro Busetta.
Antonio comincia il suo racconto parlando della memoria come
impegno e inquadrando subito la situazione esistente tra gli anni 70/80 nel
palermitano. Da Cinisi/Carini fino alla zona del bagherese le famiglie mafiose
dei Bontade, Badalamenti e Liggio spadroneggiavano monopolizzando il traffico
della droga. Erano padroni incontrastati del narcotraffico che vedeva gli
stupefacenti arrivare all’aeroporto di Punta Raisi, venire raffinati in
laboratori lungo tutta la provincia e poi esportati in tutto il mondo. Questo
quadro comincia a cambiare con l’ascesa dei corleonesi con cui decide di
affiliarsi la famiglia mafiosa del paese di Cinisi, la famiglia Di Maggio
guidata dal capostipite Procopio. Da qui nasce il tentativo di sterminare la
famiglia che aveva voltato le spalle; viene ucciso uno dei figli e la paura
costringe gli altri familiari a vivere blindati in casa ed a uscire solo
facendosi vigliaccamente scudo con i ragazzi che tornavano a casa da scuola.
Il 7 ottobre 1983 è
un normale sabato pomeriggio quando il boss del paese, approfittando
dell’abituale flusso dei passanti e dei
concittadini che si intrattengono nella piazza, è presente al bar Palazzolo al
centro del paese. Dal corso principale avanza una macchina con i fucili
spianati nel tentativo di eliminare il mafioso traditore che però rimane illeso.
In questo agguato vengono invece ferite tre persone innocenti e Salvatore Zangara, seduto
tranquillamente al tavolino del bar per trascorrere serenamente il pomeriggio
con gli amici, viene ucciso.
Antonio a quell’epoca è solo un ragazzo di diciotto anni,
figlio di una normalissima famiglia, improvvisamente qualcuno lo avvisa che suo
padre è stato ucciso. Il normale sabato pomeriggio diventa un pomeriggio di
tragedia, la vita della famiglia Zangara viene capovolta.
Per venticinque anni Antonio non riesce a parlare di suo
padre per uno strano senso di vergogna che lo attanaglia nonostante la certezza
(suffragata anche dalle indagini) che suo padre fosse una persona assolutamente
estranea ai fatti, morta solo per un tragico caso!
Per venticinque anni a Cinisi cade l’oblio su Totò Zangara,
il silenzio è rotto da Antonio spinto dall’amore e dalle domande dei suoi
figli. E’ giusto restituire ai nipoti la figura di questo nonno mai conosciuto.
Comincia così un percorso di testimonianze rese in numerosissime occasioni tra
cui anche una trasmissione radiofonica di Pif in occasione dei 100 anni di
Procopio Di Maggio a cui Antonio ha augurato di vivere altri 100 anni. Che il
boss possa continuare a viverli come ha fatto finora tra carcere, latitanza e
con il peso di figli uccisi o in regime di 41 bis.
La parola passa a Giovanni Busetta figlio di Pietro Busetta,
imprenditore bagherese ucciso il 7 dicembre del 1984. L’unica “colpa” di
Busetta era quella di essere il cognato di Tommaso Buscetta pur essendo
assolutamente distante dalla sua vita e non avendone mai abbracciato il modo di
vivere dedito alla delinquenza.
Pietro Busetta è vittima di una vendetta trasversale per
ritorsione verso il pentimento del boss. Per dieci anni, fino alla morte del
pentito, la famiglia è costretta a vivere scortata. La paura finisce solo con
la scomparsa di Masino Buscetta. Solo una ferma determinazione, un forte amore
per la propria terra e per l’attività imprenditoriale costruita dal padre,
impediscono a Giovanni, nonostante i tanti inviti anche istituzionali, di
lasciare la sua città. Attraverso i figli, Giovanni Busetta oggi continua ad
onorare un giuramento fatto al padre subito dopo la sua uccisione: nonostante
tutto quello che era successo, la famiglia e l’azienda sarebbero rimaste sempre
in piedi.
Ancora una volta abbiamo ascoltato due storie di vittime
innocenti che nella loro vita si sono imbattute tragicamente nella mafia.
Contrariamente a ciò che purtroppo è l’immaginario collettivo, la mafia non ha
assolutamente un codice d’onore, non è vero che ammazza solo per regolare conti
con qualcuno che ha intralciato loro la strada. La mafia è un cancro che se non
conosciuto e combattuto adeguatamente rischia di stritolarci in una spirale di
morte e distruzione.