lunedì 28 novembre 2016

Incontro Istituto Alberico Gentili 25 novembre 2016

Continuano i nostri incontri con le scuole e giorno 25 novembre siamo stati presenti alla scuola Alberico Gentili per sentire la testimonianza di Giulio Francese, figlio del giornalista Mario e fratello di Giuseppe Francese.
Un folto gruppo di studenti ci accoglie attento e subito il nostro ospite li invita a fare delle scelte nella loro vita, scelte che possono già essere quelle di piccoli gesti di civiltà come il non buttare a terra una cartaccia.
Esordisce dicendo che la mafia cancella le persone e che invece il nostro compito, il compito di chi resta è quello di fare memoria come atto di giustizia verso chi è stato ucciso.
Per circa due ore ci parla di suo padre, il giornalista Mario Francese ucciso il 26 gennaio del 1979 a Palermo per ordine della mafia corleonese.
Furono proprio le sue ostinate indagini sulla mafia emergente dei corleonesi  a decretare la sua uccisione.
Fu il primo a teorizzare l’esistenza di una “commissione” mafiosa (anni più tardi le deposizioni del pentito Buscetta parlarono di una “cupola” mafiosa con le sue gerarchie)  e a capire che era in atto una vera e propria guerra di mafia con cui i corleonesi miravano a prendere il controllo della mafia palermitana che era stata finora meno sanguinaria.
Mario Francese fu il primo giornalista ucciso in Sicilia, come sempre tra il silenzio della cittadinanza e, soprattutto, dei colleghi dei giornali.
Alla sua morte la vita dei figli viene stravolta; Giulio, ventenne, diventa improvvisamente il capofamiglia  e Giuseppe, di soli dodici anni, è costretto, nonostante la sua fragilità, a diventare un gigante.
Sarà proprio Giuseppe ad avviare un certosino lavoro di ricerca tra tutti gli scritti del padre, ad archiviare ed a digitalizzare quanto era stato prodotto da Mario Francese.
Questo immane sforzo fece sì che potessero, dopo più di un ventennio, essere riaperte le indagini ed arrivare ad un processo che vide condannati gli assassini tra cui Riina, Bagarella e Provenzano e che, nella sentenza di appello, addusse tra le motivazioni dell’uccisione “lo straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni ‘70”.
Nel  2002, svuotato ormai dallo sforzo della ricerca e sentendo quasi di aver portato a termine la sua missione, il figlio Giuseppe si toglie la vita.
Numerosissime e attente arrivano le domande dei ragazzi avvinti da questa ennesima tragica vicenda della nostra città.

Ancora una volta speriamo che attraverso questa esperienza possano maturare nuove coscienze e nascere nuovi e migliori cittadini di domani.

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