domenica 10 novembre 2013

Presentazione "Mafia da legare" di Corrado De Rosa e Laura Galesi - IV parte

Interviene infine l'autore, lo psichiatra Corrado De Rosa, esprimendo la sua gratitudine per l'organizzazione dell'incontro e concentrandosi sulla domanda ''A che serve la diagnosi di follia?''. Ad esempio alla delegittimazione: l'autore cita il pentimento della Galatolo, il caso di Liggio considerato un pazzo farneticante, di Mutolo che viene in tal modo delegittimato da Riina, di Leonardo Vitale che era molto malato, ma di una patologia che non incideva sulla sua testimonianza. Tipico poi è il caso di ostacoli e rallentamenti al corso della giustizia come quello di Nino Santapaola, fratello di Nitto, che viene dichiarato incapace di intendere e di volere. La conseguenza è che il processo viene sospeso, il detenuto entra ed esce dai manicomi criminali, viene collocato in un padiglione da solo col regime del 41bis ma, poiché ha necessità di socializzare, un detenuto non mafioso è obbligato a stare lì con lui. Da non dimenticare il caso in cui un mafioso passa con estrema facilità dalla condizione degli arresti domiciliari per motivi di salute alla latitanza. Il Dott. De Rosa ricorda che, guarda caso, nel giro di quindici giorni del mese di gennaio viene chiesta perizia psichiatrica per due boss del calibro di Riina e Provenzano, per i quali non si riesce od attenere la certificazione ufficiale della diagnosi di demenza; dopo solo poco tempo, gli esiti processuali dicono che la Trattativa Stato-Mafia è una realtà. Se fosse stata adottata quella ipotesi, avrebbero poi tentato di riproporla nel corso del processo sulla Trattativa. Bisogna dunque stare molto attenti a come si utilizzano le diagnosi psichiatriche: esse influenzano pesantemente i processi. Il dibattito si apre con la sottolineatura del Prof. Procaccianti sul fatto che la patologia psichiatrica non serve solo ad evitare il 41bis e ricorda che Riina, che ha ricusato il proprio avvocato, al professore ha dichiarato che ''da qui a qui'' potrebbe avere qualche malattia (dal collo in giù, N.d.R.), ma che per quanto riguarda la testa, lui è perfettamente lucido, ''come cristallo liquido''. Questo a rappresentare che certe figure di boss non possono apparire come ''pazzi'', perché la loro immagine, e quindi la loro credibilità, perderebbe di forza. Data questa considerazione, Corrado De Rosa si interroga allora su come è possibile che i capi mafiosi utilizzino lo strumento della diagnosi psichiatrica, e la risposta è che, successivamente, si adoperano per un recupero di immagine creando consenso sociale nel clan. L'autore del libro passa poi a considerare il caso della signora Li Gresti, che non era affetta da depressione né anoressia - disturbo solitamente legato all'età e a una lunga storia precedente - semmai, a un disturbo di adattamento. La diagnosi di anoressia guarda caso è incompatibile col regime carcerario, in quanto può essere curata solo con metodiche complesse in centri specializzati. Dare questo tipo di esito in una perizia è quindi molto rischioso. L'autore ribadisce l'importanza della diagnosi informando i presenti che in Campania e Calabria ci sono innumerevoli diagnosi di anoressia che in realtà è un dimagrimento dovuto a scarsa alimentazione. Nuovamente si ricorda che la diagnosi psichiatrica viene utilizzata a scopo di delegittimazione, per influenzare i processi e per trattare con lo Stato: nulla a che vedere con disturbi e medicinali. Un esempio di questo tentativo di negoziare fu il caso di un sequestrato dalle Brigate Rosse per il quale si chiese l'intervento di Mutolo come mediatore: il favore chiesto in cambio non fu ad esempio un appalto, ma una perizia compiacente. I mafiosi hanno dimostrato di utilizzare le competenze in modo più proficuo rispetto ai periti stessi (si veda il caso di una perizia che il mafioso stesso ha chiesto di modificare utilizzando una diagnosi più ''conveniente''). La triste realtà è che i mafiosi hanno i migliori periti perché li pagano molto di più. Inoltre c'è un vuoto normativo sulla possibilità che i professionisti svolgano servizio sia come periti privati (di parte) che d'ufficio (per lo Stato). Vengono reclutati semplicemente tramite iscrizione tassata ad un Albo, e scelti per la fiducia in essi riposta da parte del giudice. I medici, però, vengono scelti anche senza iscrizione all'Albo. Con questa disciplina, non si è immuni dal rischio di incompetenza. Parlando del falso stereotipo della follia, l'autore del libro riprende la questione di come recuperare il consenso sociale messo a rischio con una diagnosi psichiatrica finalizzata a un beneficio di legge. A differenza del look contadino di un boss come Riina, il camorrista Cosimo Di Lauro ostenta un'immagine di elegante benessere, che fra l'altro conferma che ''Il mafioso È - mentre il camorrista HA''. Il Prof. Lo Verso, richiamando l'esempio di poc'anzi relativo al disconoscimento della sessualità, ricorda che il soggetto mafioso si crede sano, almeno finché è all'interno della rete mafiosa. Accade la più rovinosa caduta al momento in cui comincia a collaborare con la giustizia ed esce da quella rete: la personalità ne esce appunto dis-integrata e, in conclusione, IL MAFIOSO È SANO SOLO FINCHÈ NON È UNA PERSONA. È interessante l'intervento nel dibattito di un perito che opera a livello regionale. Ci racconta di trovarsi sempre fianco a fianco con un commercialista... perché i mafiosi tengono soprattutto, oltre al Potere, al Patrimonio. Spesso si trova ad incontrare colleghi che sono sia periti di parte, sia periti d'ufficio e rileva appunto che manca una legge di incompatibilità per chi lavora in modo continuativo col Tribunale, avendo così libero accesso a informazioni e fascicoli giudiziari. Anche il Prof. Procaccianti ricorda che c'è chi, come lui, sceglie fra le due attività; chi invece svolge perizie di parte e inoltre viene chiamato dal giudice; al professore stesso è capitato di avvisare un giudice, inconsapevole che il perito da lui chiamato aveva lavorato come perito di parte nello stesso processo. L'ultimo intervento arriva insieme a una gradita sorpresa: la presenza di Salvatore Borsellino che amaramente ricorda la vicenda di Bruno Contrada, condannato per concorso esterno. VIl giudice di sorveglianza stabilisce che per motivi di salute il condannato può scontare la sua pena agli arresti domiciliari e può quindi tornare in casa a Palermo, che per ironia della sorte si trova non lontano da una delle sorelle Borsellino, Adele. Salvatore lamenta che in tutto ciò, il perito di parte dottoressa Pozzi continua dal suo sito a perorare la causa di Contrada. L'incontro si conclude con i consueti commenti, saluti e scatti fotografici: un'altra attività di CpM condotta a termine. Simonetta Genova

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