Continuano i nostri incontri con le scuole e giorno 25
novembre siamo stati presenti alla scuola Alberico Gentili per sentire la
testimonianza di Giulio Francese, figlio del giornalista Mario e fratello di
Giuseppe Francese.
Un folto gruppo di studenti ci accoglie attento e subito il
nostro ospite li invita a fare delle scelte nella loro vita, scelte che possono
già essere quelle di piccoli gesti di civiltà come il non buttare a terra una
cartaccia.
Esordisce dicendo che la mafia cancella le persone e che
invece il nostro compito, il compito di chi resta è quello di fare memoria come
atto di giustizia verso chi è stato ucciso.
Per circa due ore ci parla di suo padre, il giornalista
Mario Francese ucciso il 26 gennaio del 1979 a Palermo per ordine della mafia
corleonese.
Furono proprio le sue ostinate indagini sulla mafia
emergente dei corleonesi a decretare la
sua uccisione.
Fu il primo a teorizzare l’esistenza di una “commissione”
mafiosa (anni più tardi le deposizioni del pentito Buscetta parlarono di una
“cupola” mafiosa con le sue gerarchie) e
a capire che era in atto una vera e propria guerra di mafia con cui i
corleonesi miravano a prendere il controllo della mafia palermitana che era
stata finora meno sanguinaria.
Mario Francese fu il primo giornalista ucciso in Sicilia,
come sempre tra il silenzio della cittadinanza e, soprattutto, dei colleghi dei
giornali.
Alla sua morte la vita dei figli viene stravolta; Giulio,
ventenne, diventa improvvisamente il capofamiglia e Giuseppe, di soli dodici anni, è costretto,
nonostante la sua fragilità, a diventare un gigante.
Sarà proprio Giuseppe ad avviare un certosino lavoro di
ricerca tra tutti gli scritti del padre, ad archiviare ed a digitalizzare
quanto era stato prodotto da Mario Francese.
Questo immane sforzo fece sì che potessero, dopo più di un
ventennio, essere riaperte le indagini ed arrivare ad un processo che vide
condannati gli assassini tra cui Riina, Bagarella e Provenzano e che, nella
sentenza di appello, addusse tra le motivazioni dell’uccisione “lo
straordinario impegno civile con cui la vittima aveva compiuto un’approfondita
ricostruzione delle più complesse e rilevanti vicende di mafia degli anni ‘70”.
Nel 2002, svuotato
ormai dallo sforzo della ricerca e sentendo quasi di aver portato a termine la
sua missione, il figlio Giuseppe si toglie la vita.
Numerosissime e attente arrivano le domande dei ragazzi
avvinti da questa ennesima tragica vicenda della nostra città.
Ancora una volta speriamo che attraverso questa esperienza
possano maturare nuove coscienze e nascere nuovi e migliori cittadini di
domani.
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