Blog ufficiale dell'Associazione "Cittadinanza Per La Magistratura"
domenica 19 maggio 2013
GLI STUDENTI DEL CEI DI PALERMO INCONTRANO IGNAZIO CUTRO' - Simonetta Genova
Iniziativa del Centro Studi Paolo Giaccone - presenti Luigi Furitano e la professoressa Caruso che ha conferito al Rettore Beneduce la qualifica di Socio Onorario - ha collaborato l'Associazione Cittadinanza per la Magistratura.
''Siamo tutti testimoni di giustizia'' Ignazio Cutrò, venerdì 17 maggio 2013
Sulla differenza fra le due figure giuridiche del ''collaboratore di giustizia'' e del ''testimone di giustizia'' si è concentrato il breve intervento introduttivo del docente di Diritto Penale e Criminologia Prof. Militello. L'inevitabile confusione fra i due termini viene vissuta con dolore da Ignazio Cutrò, l'imprenditore di Bivona che, a seguito del rifiuto di sottomettersi alle estorsioni della mafia locale, ha dovuto entrare nel programma di protezione. Il sig. Cutrò non riesce a concepire l'ignoranza sulla fondamentale differenza fra chi collabora (dopo aver partecipato all'atto criminoso), e chi invece testimonia come terzo osservatore - nonché, aggiungerei io, come vittima.
Il Prof. Militello, dopo aver garbatamente proposto agli studenti una chiave di lettura del processo penale in termini di evento teatrale, ha appunto ricordato che, oltre all' ''attore'' e al ''convenuto'', nel processo c'è la figura del narratore: tecnicamente, il ''testimone di giustizia''. Il docente ha fatto notare ai ragazzi che questa figura acquista particolare dignità e rilevanza in un paese come l'Italia, che ha dovuto prevedere un figura di reato specifica: l'associazione criminale di stampo mafioso. A differenza degli altri infatti, il reato mafioso si distingue specificamente per il fatto di sfruttare un clima di intimidazione ed omertà (quest'ultimo vocabolo così peculiare che diventa difficile tradurlo in altre lingue). Il docente universitario ha evidenziato l'importanza di non sottovalutare il percorso umano di maturazione che avviene sia nel collaboratore che nel testimone di giustizia in quanto in un clima di silenzio, per citare la Bibbia, la verità fa scandalo. Con questo riferimento il professore ha inteso insistere sul fatto che entrambe sono figure cruciali allo scopo di smantellare il sistema mafioso, e in quanto tali entrambe degne di rispetto. Ma Cutrò percepisce giustamente come offesa essere erroneamente definito ''collaboratore'': già da alcuni anni le due figure sono state distinte da una nuova normativa.
E qui, insieme alla visione del docufilm, lo stesso Ignazio Cutrò ha donato agli studenti il suo sofferto vissuto su questo aspetto della vicenda: gli amici lo hanno abbandonato; il paese gli si è rivoltato contro definendolo ''confidente di Questura'', l'imprenditore accoglie l'epiteto teso a offendere, al contrario, come un complimento. Distruggere la mafia si può, sostiene l'imprenditore, basta volerlo: ma bisogna agire distruggendo la mafiosità che tutti noi abbiamo dentro. Aggiunge infine che Falcone aveva ragione: è la solitudine a uccidere...
Il docufilm rivela la duplice storia di due compagni di scuola che crescendo, si ritrovano coinvolti in storie di mafia, alfine su barricate opposte. Luigi Panepinto, anche lui giovane imprenditore di Bivona, viene avvicinato dalla mafia; oppone resistenza; per Cutrò diventa quasi un eroe. A Luigi ammazzeranno il padre, lo zio,
un operaio; e un cugino ferito. Anche Cutrò viene inizialmente ''avvicinato'', poi consigliato, poi minacciato. Infine i mafiosi, comprendendo con chi hanno a che fare, passano ai fatti. Danni alle attrezzature, minacce, intimidazioni; e per Cutrò notti passate in cantiere a custodire gli attrezzi del proprio lavoro...
...paura per i propri familiari. Ma l'imprenditore non si arrende: fa da esca e partecipa all'operazione Face Off nella quale fra gli arresti compare proprio Luigi Panepinto. Nelle parole di Ignazio Cutrò, il suo vecchio amico - il suo modello - ha avuto la ''paura della negazione'', non è riuscito a opporsi al sistema perverso; vi si è infine integrato. Eppure bisogna praticare la legalità; anche se oggi Cutrò si deve ''difendere dalla burocrazia oltre che dalla mafia'', anche se la famiglia e i figli soffrono a causa di scelte difficili (Giuseppe testimonia positivamente sulle decisioni prese in famiglia), Cutrò insiste con gli studenti del CEI: ''Ci vuole più coraggio a tacere che a parlare''; ''Siamo tutti testimoni di giustizia''. Si chiede e si risponde da solo: ''Ho paura? Certo che ho paura, sempre.''
Per la sua visione coraggiosa e coerente, per l'amore della propria terra, il sig. Cutrò ci chiede con calore di aderire a una petizione per ripristinare la protezione del magistrato dott. Vella, per il quale si batte come per un familiare; ci avverte che se gli succederà qualcosa, tutti noi ne avremo la responsabilità - il magistrato si trova infatti a viaggiare di continuo nei territori di provenienza di numerosi criminali che ha fatto arrestare. In nome degli stessi valori di legalità, Cutrò è riuscito con ostinata cocciutaggine a convincere il dott. Teresi a fargli usufruire della protezione restando a Bivona, paese di 5000 abitanti. Ha condiviso il momento della decisione con la famiglia, votando tramite pollice alto e pollice verso. Ecco cosa accade: il papà vota per primo (per amore dei familiari, a favore della partenza); i familiari lo rimbrottano, ribadiscono il loro sostegno incondizionato, votano per restare in paese. Gli viene infine concessa la protezione in loco.
Cutrò non si considera un eroe per questo; considera invece eroi i testimoni che si allontanano, costretti a lasciare tutto e tutti e a cambiare identità; è impossibile non commuoversi quando il sig. Cutrò dice: ''Come potrei abbandonare i nomi che abbiamo scelto: Veronica... Giuseppe...'' L'imprenditore convince il magistrato Teresi: ''Se io mi allontano, lo Stato ha perso: abbiamo perso tutti.'' Eppure, solo se il testimone si trasferisce in località protetta, lo Stato è tenuto a garantirgli il tenore di vita precedente, ad assicurargli una sussistenza. Ignazio Cutrò difende i diritti dei testimoni di giustizia e ne presiede l'omonima associazione.
''Sono fortunato perché non mi hanno ucciso''' ''La mafia non fa eccezioni'' ''La mafia non si arrende''...
Alcune domande martellavano me che stavo ascoltando: Perché non lo hanno ucciso? Con quale coraggio si va dai carabinieri di un minuscolo centro ad accusare i propri paesani? Si può dire no alla mafia e continuare a lavorare, a sopravvivere? Queste domande mi martellavano. Non sono stata in grado di farle; per rispetto, per ritegno, per ammirazione nei confronti di quest'uomo gentile che parla ai ragazzi con linguaggio semplice, che si scusa preventivamente col Rettore per poter apostrofare gli aguzzini con la solita voce tonante: I MAFIOSI SONO PEZZI DI MERDA
Simonetta Genova
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