Blog ufficiale dell'Associazione "Cittadinanza Per La Magistratura"
giovedì 24 ottobre 2013
"La forza delle donne. Oltre la mafia. Oltre la violenza." - Giovedì, 24 ottobre 2013
Giovedì, 24 ottobre 2013, ore 10
Cittadinanza per la Magistratura è presente la seconda mattina del convegno di quattro giorni ai Cantieri Culturali della Zisa dedicato alle donne che hanno combattuto o continuano a combattere contro la mafia e la violenza: mattinata dedicata agli studenti del Liceo G. Meli e alle testimonianze dirette di Augusta Agostino, nostra amica e madre coraggio, di Egle Palazzolo, giornalista e scrittrice impegnata (si ricordi ''La chiamata''), di Alessandra Puglisi, magistrato del Tribunale dei minori; assente all'ultimo momento, Pina Grassi, vedova di Libero. I numerosi studenti presenti all'incontro rientravano nell'obiettivo del convegno: creare una partecipazione del territorio e dialogare con altre donne e con i giovani su temi di interesse comune e valore civile.
Le associazioni organizzatrici, “Mezzocielo” e “Donne contro la mafia”, in collaborazione con il Centro Studi Giuseppe Impastato e l’Istituto Gramsci, hanno dato il benvenuto e stimolato la discussione nelle persone di Anna Puglisi e Simona Mafai, con il coordinamento, semplice quanto sentito, della prof. Piera Falluca, che ricorda quanto la storia dell'antimafia sia anche la storia del protagonismo femminile. Un ricordo particolare è stato dedicato a colei che, già in passato, è stata capace di unire donne di estrazione diversa in nome della lotta alle mafie: Giovanna Giaconia Terranova, una persona timida e riservata che, dopo il 1979, si impegna a superare la sua ritrosia per donare con generosità la sua forza e il suo impegno - prima presidentessa dell’Associazione “Donne per la lotta contro la mafia” (che festeggia 23 anni di vita).
L'incontro si svolge nella sala Perriera dei cantieri, dove è allestita una mostra che ci viene presentata da Rita Margaira, del Comitato Resistenza Colle del Lys, e realizzata in collaborazione con le donne dell’Associazione per la pace Gruppo di Rivoli; mostra che in altrettanti pannelli riporta nomi, volti e storie di vittime, di madri, mogli, figlie di vittime; di donne testimoni di giustizia, di donne magistrato e di donne con incarichi pubblici - insieme a notizie e un glossario con i termini dell'(anti)mafia. Un percorso, insomma, "in cui si racconta la storia di tante donne che hanno fatto dell’impegno contro le mafie una ragione di vita, ma anche quelle che non sono uscite da una cultura di morte."
L'effettivo esordio è stato uno dei momenti più belli della mattinata: venti ragazzi del Liceo Meli hanno ripercorso, passandosi il microfono come un testimone, le tappe della storia della mafia, fino alle stragi del '92. Ogni tappa cominciava con "Non eravamo nati quando . . ."
E' seguito l'intervento di Egle Palazzolo, ammirata anche lei dal cerchio formato dai ragazzi, una formazione che presuppone una comunicazione e un aiuto reciproci, fuori da ogni frontalità fra adulti e giovani. La scrittrice, colpita dalla frase dei ragazzi, ha sottolineato come, proprio perché non nati all'epoca di tante brutture e quindi non gravati del loro peso, sono meno contaminati e possono oggi rappresentare un pezzetto della loro anima pulita. Quando gli adulti dicono che i giovani sono il futuro, non intendono caricarli di responsabilità, ma aiutarli - per fare incontrare il "vecchio" e il "nuovo"; i giovani sono i "portatori sani" di quello che verrà; se i giovani combattono, è per contrastare coloro che vogliono privarli dei loro diritti civili. L'unico modo di salvarsi è, per molti giovani, uscire dall'ambiente mafioso, come ha fatto la sfortunata Lea Garofalo - anche se, è chiaro, la sua sorte non deriva dalla sfortuna: proviene da questioni relative a denaro, privilegi, potere. Egle Palazzolo invita dunque i giovani presenti a vigilare sul proprio privato, ma anche a tenere gli occhi ben aperti sul ''pubblico''.
Anna Puglisi parla dell'associazione delle Donne contro la Mafia, sottolineando che la lotta delle donne alla mafia nasce molto tempo fa: è giusto ricordare che ancora prima della stagione delle stragi, l'associazione ha sostenuto durante i processi le donne che hanno scelto di rivolgersi ai magistrati, ad esempio Michela Buscemi che si è costituita al maxiprocesso (presente in sala il nipote). Anna Puglisi ricorda l'unica donna che, ancora in vita, è riuscita ad ottenere giustizia, conoscendo la verità sulla morte del proprio figlio Peppino Impastato; Felicia è la donna fragile e forte che ha potuto guardare negli occhi gli assassini di suo figlio. L'associazione veniva chiamata l'associazione delle vedove, ma in verità non solo vedove erano le donne che ne facevano parte: si trattava di donne impegnate ad aiutare altre donne, che si battevano e andavano nelle scuole quando ancora tutto questo veniva rifiutato.
Come sempre, quando parla, Augusta Agostino crea il silenzio attorno a sé, toccando con la sua semplicità il cuore dei presenti. Da donna, è grata a tutte le amiche che ha incontrato sul suo cammino, amiche che porterà sempre nel cuore. Racconta la storia di suo figlio Nino, della nuora Ida, e del bambino mai nato: senza attenuazioni, ma dal punto di vista di una madre, di una donna. Una donna che ancora cerca verità e giustizia imbattendosi nel silenzio delle istituzioni e scontrandosi col muro di gomma del segreto di stato. Ed è con la sua disarmante semplicità che Augusta incita i giovani.
Piera Falluca ricorda appunto agli studenti che non dobbiamo ''foderarci'' anche noi di indifferenza, che è importante essere informati sui processi, su ciò che accade, che la nostra presenza diventa ''massa critica'', e che la presenza è importante anche nelle aule di tribunale: lo dimostra il ricordo della piccola grande Felicia che, nell'aula bunker, vista la presenza dei giovani, si aprì in un sorriso meraviglioso e indimenticabile.
La parola viene data alla dott.ssa Alessandra Puglisi che, in quanto magistrato del Tribunale dei Minori, fa notare ai giovani che questi argomenti riguardano proprio loro: la storia d'esempio è quella di una quindicenne che all'improvviso si vede trascinata via per sempre dalla polizia, e dalla sua vita, perché si trova in grave pericolo: la madre ha deciso di diventare testimone di giustizia. Allora scappa, comincia ad odiare la madre, è presa da mille dubbi riguardanti la sua appartenenza e anche la sua identità di genere. La reazione dei minori a violenze di questo tipo è esattamente "Ma io non ho creato tutto questo, non ho voluto tutto questo!" Eppure, sono costretti a confrontarsi con cose più grandi di loro: ci sono minori che hanno commesso crimini efferatissimi; che si pentano oppure no di averli commessi, tali delitti lasciano in loro ferite profondissime. La loro vita è comunque rovinata, perché per loro dire NO alla mafia equivale a dire NO a sé stessi e ai propri valori, quelli coi quali sono cresciuti.
Ci sono per fortuna momenti leggeri in cui tutti gli studenti rispondono con risate liberatorie: interviene la scrittrice Sara Favarò raccontando anche con toni comici un episodio giovanile in cui, quindicenne, si impegnava nelle lotte studentesche e scopriva sulla propria pelle che al nord un palermitano era considerato mafioso non solo da persone ottuse e retrograde, ma dai suoi stessi coetanei. Con questa scoperta, decide di vedere le cose dall'altro punto di vista, e conclude convincendosi che se siamo considerati tutti mafiosi la colpa è nostra, e siamo noi a dover cambiare la nostra società: dobbiamo partire da noi stessi.
A sorpresa interviene una ex insegnante di Ida Castelluccio, che la ricorda come ragazza diligente, studiosa e brava. La aveva stupita la sua decisione di non fare programmi per il futuro, in quanto concentrata nell'evento prossimo e desiderato del matrimonio con Nino; evento che occupava la sua mente durante tutto l'ultimo anno scolastico. Il matrimonio con un poliziotto le procurava non pochi timori, che aveva espresso con l'insegnante. Egle Palazzolo rileva che la giovane Ida aveva fatto una scelta, la scelta di stare accanto al suo uomo, e che appunto della possibilità di portare a compimento questa scelta è stata brutalmente privata. Mamma Augusta ricorda a tal proposito che entrambi gli sposini si erano iscritti alla facoltà di biologia per proseguire gli studi. Stavolta, insieme.
Maria Silvia, una giovane alunna del Vittorio Emanuele II, riesce a superare la timidezza esprimendo la sua stima alla signora Agostino e chiedendole se, oltre ad essere intimorita, Ida era anche orgogliosa del lavoro di suo marito. Per mamma Augusta, lei era così orgogliosa di suo marito che, al momento dell'assassinio e mentre Nino cercava di proteggerla, Ida invece si rivolgeva ai sicari dicendo "Vi conosco... io so chi siete!": esclamazione che ha avuto come risposta quel colpo al cuore, fatale per lei e per il figlio che portava in grembo. Per mamma Augusta, pungolata dall'idea che questa fanciulla avrebbe potuto essere ancora viva, è doveroso ricordare sempre, ed affermare sempre, che Ida è morta da eroina.
La curatrice della mostra, Rita Mangaira, ci informa sul fatto che la sua associazione si è occupata di ''resistenza'', ma che non trascura argomenti attuali come le inadempienze dei princìpi costituzionali (ad esempio il diritto al lavoro, allo studio) e la lotta per la legalità. Ricorda che le mafie sono dovunque, anche se il Piemonte registra in particolare una forte presenza della 'ndrangheta. Presenza che solo adesso si riesce ad ammettere: la differenza è, a detta della curatrice, che ''lì si spara di meno''; però altrettanto pericolosa è la presenza fin nei gangli delle istituzioni. All'impegno civico e sociale fa riferimento citando riviste come Casablanca e Narcomafie.
La prof. Falluca richiama la solita domanda: ''Noi che possiamo fare?'', e ricorda ancora una volta che scegliere da che parte stare è una cosa alla portata di tutti. Come raccontato anche dal magistrato, molti minori non hanno questa possibilità di scelta, e quindi è bene riflettere anche su quest'altra parte di mondo.
La dott.ssa Alessandra Puglisi sostiene che l'unico luogo in cui il disagio può emergere, e quindi essere affrontato, è la scuola. Il magistrato viene travolto dalla commozione quando accenna a una storia di abusi su una minore da parte di familiari scoperta proprio a scuola; lo straziante addio alla madre quando la bimba viene data in adozione; il padre che finisce in carcere; il fratello, costretto anch'egli ad abusare, che perde la salute mentale. Rimane dunque fondamentale una sinergia fra scuole, servizi sociali e associazioni di volontariato.
La prof.ssa Maria Vera Scibilia racconta la sua positiva esperienza scolastica nel quartiere di Brancaccio, pregressa a quella di Padre Puglisi, quando l'obbligo di denuncia di abusi su minorenni non era ancora una realtà: secondo la docente, la soluzione nei quartieri a rischio è promuovere la legalità e credere nei ragazzi; così all'Arenella, dove all'esordio di Addiopizzo risultava difficile fare parlare gli alunni e si rifiutavano anche alcuni docenti, che magari avevano in classe i figli degli estorsori.
Il magistrato ha voluto fare un ultimo appello a rischio di essere impopolare: un appello ai giovani a ricordare che se acquistano per pochi euro una dose di droga, fumo, pillole e quant'altro, al di là della loro salute fanno un danno enorme perché non stanno pagando solo chi glieli fornisce, ma stanno di fatto finanziando il crimine, la mafia, e tutto il malaffare nazionale e internazionale.
Prima di un’ultima esperienza dal Liceo Meli, la prof. Falluca riassume il senso dell'intervento sottolineando che tutti noi abbiamo infinite occasioni di complicità, e che quindi dobbiamo fermarci a riflettere e chiederci sempre a chi può giovare ogni singolo comportamento che mettiamo in atto.
L'esperienza si conclude lontano dai microfoni con saluti, incontri, sorrisi scambiati con i giovani e con altre donne: una sorellanza fra donne ''provate'', donne ''impegnate'' e donne "future".
Simonetta Genova
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento