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domenica 10 novembre 2013
Presentazione "Mafia da legare" di Corrado De Rosa e Laura Galesi - II parte
Il moderatore passa la parola al Prof. Scaglione, Preside della facoltà di Giurisprudenza nella quale ci troviamo, il quale spiega la bassa percentuale di studenti presenti a questo incontro con l'organizzazione dell'evento (a cura di Contrariamente) in cui tutti sono stati impegnati nella giornata di ieri. A tal proposito, approfitta dell'occasione per esprimere il suo orgoglio nei confronti degli studenti della facoltà, che organizzano una quantità notevolissima di eventi all'insegna dell'antimafia, ed esprime il suo apprezzamento in maniera sincera e sentita sia per i relatori che per gli organizzatori dell'incontro. Quanto al libro, trova ammirevole il lavoro che vi sta alla base - cioè la faticosa ricerca di atti giudiziari - e la nutrita bibliografia. Anche lui ci ricorda che nel settore antimafia ogni pubblicazione partecipa al risveglio delle coscienze e che, per potere sconfiggere il fenomeno completamente, la repressione e il processo penale non sono sufficienti; rimane inoltre fondamentale rivolgersi ai giovani. Il libro consente appunto di approfondire le conoscenze e ci mostra le patologie in questione. La follia viene utilizzata dai mafiosi per diverse ragioni: ad esempio, screditare i collaboratori di giustizia persino quando le loro dichiarazioni hanno avuto riscontri processuali, oppure ottenere il proscioglimento per vizio parziale o totale. Caso più noto, il tentativo di evitare il cosiddetto carcere duro, ovvero gli effetti di quel 41bis nato come legge a tempo, e diventato norma stabile invidiata dagli altri stati; e infatti l'Unione Europea raccomanda di uniformarsi all'Italia sotto questo profilo. Il professore cita dal libro le dichiarazioni di Leonardo Vitale, il ''pentito'' che anticipò Tommaso Buscetta, e dà rilievo alla nutrita documentazione del libro di De Rosa. Esso non trascura l'area ''grigia'' dei fiancheggiatori, dei soggetti che - sia pure non affiliati - concorrono dall'esterno agli scopi della mafia; si tratta di professionisti, medici, periti etc.: ed ecco che torna ad essere importante il richiamo del Prof. De Leo alla deontologia. Nelle vicende illustrate nel libro, si trova la spiegazione del perché non si riesce a sconfiggere il fenomeno mafioso: la collusione col mondo della politica e la ''contiguità'' con altri settori della società. Il nostro paese detiene un terribile primato come numero di omicidi eccellenti e non; la risposta deve essere il fare memoria, e la memoria è presente nel passato e nel futuro. L'antimafia deve concretizzarsi in impegno, non in manifestazioni di facciata, così che la memoria diventi attiva, cioè essenzialmente una ricerca di giustizia e di verità. Il Preside ricorda le parole del giudice Falcone: egli sosteneva che la mafia un fatto umano, e come tale ha un inizio e avrà una fine.
Il Prof. Lo Verso, Ordinario di Psicologia Clinica presso l'Università di Palermo, ricorda di essersi interessato al caso di Leonardo Vitale, e si sofferma sulla personalità dei boss mafiosi. Rimarca il fatto che la mafia non è solo un sistema criminale, ma anche un sistema politico ed economico fortemente connotato dal punto di vista antropologico. Capovolgendo la prospettiva, il soggetto non ''diventa'' Cosa Nostra ma ''è'' Cosa Nostra; in altre parole, quando studiamo la personalità di questi soggetti, non dobbiamo pensare di analizzare la personalità ''di un mafioso'', ma di analizzare la personalità ''dei mafiosi''.
Una delle caratteristiche principali è che sono capaci di uccidere con completa indifferenza; l'altra è che per loro assume totale importanza il potere: essi stessi incarnano il Potere. Altri aspetti sono la paranoia personale e la mancanza di pulsioni sessuali.
A tal proposito, il docente narra alcuni aneddoti: un caso di psicoterapia per una donna che temeva di essere stata sposata per interesse (si trattava della figlia di un mafioso); a suo dire, il marito era stato capace di convincere, o ''persuadere'', anche una serie di stimati professionisti allo scopo di non farle vedere la figlia che viveva con lui. Il professore accenna anche all'approdo psicopatologico di una coppia di quarantenni splendidi, indubbiamente innamorati, incapaci di godere della loro sessualità persino in occasione di un viaggio, in quanto la donna era totalmente fredda; un po' come le vedove dell'Ottocento. Anche l'ultimo aneddoto è narrato dal Prof. Lo Verso con l'impronta spiritosa che lo contraddistingue: accenna alla politica dei beni confiscati che esce dalla logica delle cooperative per orientarsi verso l'impresa vera e propria e racconta che, mentre visionava un immobile confiscato, la sua figlioletta gli chiede ad alta voce ''Papà, ma è qui che c'è il mafioso?'' Alla parola magica, tutti i presenti, pur essendo specchiati guerrieri antimafia, presi da una forma di paranoia ''sociale'', d'improvviso abbassano tutti il tono della voce. È ciò che
accade nella nostra Palermo, città che il professore vanta sempre come capitale ...dell'antimafia.
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