mercoledì 7 ottobre 2015

"GIOVANNI LAVORA ANCORA" - Cinzia e Simonetta, due testimonianze

Report Mercoledì 30 settembre - incontro con le suore di madre Teresa e i bambini della Guadagna
Mercoledì scorso con Simonetta e Tiziana siamo andate a trovare le suore di Madre Teresa alla Guadagna . Era un incontro che avevamo programmato da un po' di tempo. Quasi due mesi prima per l'esattezza nei primi giorni di agosto tutte eravamo state colpite da una foto pubblicata su Facebook . La foto ritraeva Il nostro amico Giovanni un cagnolino e dei bambini , tutti molto allegri e sorridenti. Ognuna di noi alla vista di quella foto aveva sentito di dover trovare il posto e di andare, senza un preciso scopo. Cominciamo a programmare questa visita, cominciamo a fare telefonate per capire dove si trova il posto, tante volte ne avevamo sentito parlare dal nostro amico Giovanni, ma nessuna di noi sapeva dove era esattamente, finalmente troviamo l' indirizzo esatto.

Stabiliamo il giorno , mercoledì 30 ore 15,30. Ci diamo appuntamento un po' prima per andare insieme, ci incontriamo, ci guardiamo negli occhi , nessuna di noi sa dove sta andando, cosa sta andando a fare e perché. Vogliamo andare però. Quindi ci incamminiamo e con le nostre domande che ci frullano per la testa arriviamo al convento delle suore. Suoniamo al citofono, aspettiamo qualche minuto, la madre superiora ci apre la porta. Ci presentiamo. Lei ci guarda con un sorriso e dice: " Giovanni lavora ancora" In pochi secondi aveva dato le risposte a tutte le nostre domande. I dubbi erano svaniti. Saliamo, andiamo nella cappella, un Crocifisso alla parete, una statuetta della Madonna , tutto mi torna familiare; riaffiorano alla mente i racconti di Giovanni, di quando le suore erano ancora alla Magione, di quel Crocifisso, di quella Madonna. Scambiamo qualche parola con le suore e poi ci accompagnano dai bambini.

Entriamo in questo piccolo appartamento dove le suore aiutate da altri volontari fanno il doposcuola ai bambini del quartiere. Veniamo travolte da questi bambini. A ognuna di noi vengono affidati alcuni di loro. Io sono con Marcella e Piero due bambini della seconda elementare. Hanno già aperto il libro di inglese . Dobbiamo fare i compiti Simonetta è seduta ad un altro tavolo - altri bambini, altri compiti da fare. Al mio stesso tavolo c'è Corrado, un altro maestro volontario, anche lui è amico di Giovanni . I bambini sono vivaci, è difficile farli stare seduti, io poi non sono abituata . Finiamo i compiti, è l'ora della merenda, i bambini corrono da una stanza all'altra, urlano, ridono si rincorrono. È arrivato il momento di andare, salutiamo le suore.

...ci vediamo mercoledì prossimo. Ciao Marcella, ciao Piero, ci vediamo mercoledì.
*****************************
Il ''report'' di oggi, mercoledì 30 settembre 2015, non ci viene chiesto da Giovanni, ma lo dedichiamo con tutto il cuore a lui e alla sua vita operosa. Molte volte io e la mia amica abbiamo condiviso gli stessi pensieri senza dircelo; allo stesso modo abbiamo covato per settimane il desiderio di incontrare le suore di Madre Teresa di Calcutta. Volevamo conoscere il luogo di cui Giovanni Palazzotto ci ha parlato qualche volta e l'attività che ha sempre considerato la più importante fra le tante opere buone che ha realizzato. Ancora una volta, nessuna di noi due si è espressa a parole ma, dopo le vicissitudini necessarie per trovare i giusti contatti con il centro di volontariato, le domande che continuano a ronzare dentro la testa di entrambe sono <<Cosa stiamo facendo? Perché stiamo andando? Cosa accadrà lì?>> - mentre a noi si aggiunge una terza amica con le idee apparentemente molto chiare.

Ci rechiamo dunque alla casa delle suore presso il quartiere della Guadagna - non attese, e con la testa riecheggiante di dubbi e interrogativi. Il cancello davanti a noi si è aperto su una serie di costruzioni che circondano un cortile con muri fatiscenti, ferri a vista e pareti piene di murales colorati - i bambini del quartiere giocano a calcio nello spazio al centro. La casa delle suore si trova ricompresa in questi edifici. Nel frattempo che attendiamo che rispondano al campanello, la porta viene aperta e veniamo accolte gentilmente.
...come se fossimo attese.
...come se ci trovassimo in un discorso mai interrotto.

Una semplice innocua frase ci lascia senza parole: la piccola suora ci guarda tranquillamente, e sorridendo afferma: <<Giovanni lavora ancora>>, ci volta le spalle e ci conduce sopra. Per prima cosa ci mostrano una spoglia cappella dove campeggia solo un enorme crocifisso e, alla sua destra, una piccola Madonnina donata da Paolo Borsellino. Giovanni aveva molto faticato perché questi due oggetti fossero trasferiti dal quartiere della Magione, dove prima operavano le suore. La superiora ci parla con altrettanta calma e serenità - mentre noi tre cerchiamo ancora di ''focalizzarci''. Ma in fondo sappiamo benissimo perché siamo lì - non vediamo l'ora di andare dai bambini di Giovanni, anche se quelli di loro che lo hanno conosciuto con grande probabilità non ci saranno, ma ce ne sono di nuovi.

Ci rechiamo con una suora molto cordiale una traversa più in là, presso i locali dove si svolge il doposcuola. All'ingresso, la piccola Jessica, tra il serio e il faceto, interroga chi deve entrare e nega o concede permessi: <<Tu sì, tu no. Tu chi sei? Tu come ti chiami?...>>
Io l'ho fatta franca spacciandomi per Jessica e spiazzandola per un istante: l'istante necessario a varcare quella porta oltre la quale i bambini vocianti hanno cominciato a rassettarsi e recitare preghiere insieme agli adulti; a cantare canzoncine che mi hanno fatto rimpiangere di non avere mai fatto l'animatrice; e a leggere in coro le regole del doposcuola scritte in un cartoncino colorato appeso al muro.

A questo punto noi tre ci dividiamo e siamo ''assegnate'' ai piccoli, ai medi e ai grandi in tre stanzette decorose e piene di luce con tavoli e sedie in numero forse non sufficiente.
Vedendo una donna adulta, ovviamente mi presento tendendo la mano. Lo sguardo è diffidente, la stretta di mano esita mentre mi dice: <<Io sono la mamma di un bambino>> - come a sottolineare una differenza.

Eleonora è la prima in cui mi imbatto: silenziosa, timida, mi guarda molto con dei begli occhi neri, cerca il mio aiuto, ascolta i miei suggerimenti. Ha da ricopiare parole a matita, mentre cerco di insegnarle trucchi per non farla uscire dalle colonne stabilite.
Giulia mi chiama: è linda, ordinata, fiduciosa, curiosa - ha tutto il materiale a disposizione (zaino, libri, quaderni, colori), mentre qui c'è anche chi arriva con niente. Sia pure con dolcezza, più volte mi chiama per strapparmi a Eleonora, che al contrario quando sono impegnata si arrende subito: invece di attirare la mia attenzione, si rivolge timidamente ad un'altra maestra.

Una volontaria mi fa notare, con aria competente, che non tutti i bambini sono in grado di risolvere le operazioni enumerando sulle dita, ma che hanno bisogno di contare oggetti concreti come le matite colorate. Il suggerimento mi serve per aggiustare il tiro e stare attenta alle differenze fra i bambini.

Una bambina molto piccola mi rifiuta sin dall'inizio; le chiedo il nome e anche lei mi risponde... <<Giulia>>... Mi sorge il sospetto che la risposta sia ingannevole e non significhi altro che la gelosia per le attenzioni che rivolgo a Giulia. Le offro il mio aiuto, trovo dei pretesti, ma niente: rabbiosamente Angela mi respinge col braccio, mi sfida, mi guarda sempre torva... Però, mentre sono con le altre due, grida in modo disarticolato per disturbare tutti, prende la gomma a Giulia, insomma fa l'impossibile per farsi notare. Avrò tempo le prossime volte per cercare un contatto.
Anche Peppe è diffidente: l'ordinata camicia a quadretti nasconde un tipetto molto tosto che non esiterà poi a scappare a quattro zampe dalla stanza; mi fissa serio, però i suoi occhi tradiscono una certa indecisione: non sa se rifiutarmi, se ascoltarmi, se aspettare. Ma questa volta sono io che aspetto - è la strategia migliore. Alla fine Peppe non vede l'ora che gli scriva ''Bravo'' accanto a tutte le operazioni che ha svolto.

Mi invento esercizi, cerco di distribuirmi equamente, li seguo in piedi accorgendomi che le sedie non bastano e do una mano a sistemare i libri. Ma la suora mi ricorda che ognuno di loro, prima di fare merenda, deve chiudere lo zaino ordinando le proprie cose personalmente. La merenda, mi fa notare, è anch'esso un momento difficile - lì noi tre siamo utili per poter gestire 25 bambini di ogni età che, seduti tutti a terra in una verandina di neanche un metro per sei, hanno imparato a non prendere la merendina dal vassoio, ma ad aspettarlo col tovagliolino dalle mani delle maestre.

Ho imparato un'altra cosa: se Emanuele o Marcella non ricordano il mio nome che magari è troppo lungo, non è necessario che io glielo faccia imparare, perché tutti quanti noi volontari dobbiamo essere chiamati Maestro o Maestra: evidentemente la prima cosa che conta lì dentro è il ruolo.

Lo possiamo tranquillamente ammettere: usciamo da lì tutte con l'adrenalina a mille. Le nostre teste sono rimbombanti delle voci, dei volti, delle novità, delle nostre intenzioni future; ci scambiamo le piccole esperienze della stanza in fondo, di quella all'ingresso, delle frasi dette dai bambini. Un volontario si rammarica della perdita di Giovanni - dice di averlo conosciuto lì. Tornando in macchina, parliamo di tante cose - ma il nostro pensiero è tutto a Giovanni: a lui che ci ha insegnato; a lui che ci ha dolcemente accompagnato fino a lì; a lui che ci manda da lassù - noi lo speriamo - un sorriso paterno e sornione.

Giovanni, questo report è per te


con amore, le tue compagne di associazione

Nessun commento:

Posta un commento