Report
Mercoledì 30 settembre - incontro con le suore di madre Teresa e i bambini
della Guadagna
Mercoledì
scorso con Simonetta e Tiziana siamo andate a trovare le suore di Madre Teresa
alla Guadagna . Era un incontro che avevamo programmato da un po' di tempo.
Quasi due mesi prima per l'esattezza nei primi giorni di agosto tutte eravamo
state colpite da una foto pubblicata su Facebook . La foto ritraeva Il nostro
amico Giovanni un cagnolino e dei bambini , tutti molto allegri e sorridenti.
Ognuna di noi alla vista di quella foto aveva sentito di dover trovare il posto
e di andare, senza un preciso scopo. Cominciamo a programmare questa visita,
cominciamo a fare telefonate per capire dove si trova il posto, tante volte ne
avevamo sentito parlare dal nostro amico Giovanni, ma nessuna di noi sapeva
dove era esattamente, finalmente troviamo l' indirizzo esatto.
Stabiliamo il
giorno , mercoledì 30 ore 15,30. Ci diamo appuntamento un po' prima per andare
insieme, ci incontriamo, ci guardiamo negli occhi , nessuna di noi sa dove sta
andando, cosa sta andando a fare e perché. Vogliamo andare però. Quindi ci incamminiamo
e con le nostre domande che ci frullano per la testa arriviamo al convento
delle suore. Suoniamo al citofono, aspettiamo qualche minuto, la madre
superiora ci apre la porta. Ci presentiamo. Lei ci guarda con un sorriso e
dice: " Giovanni lavora ancora" In pochi secondi aveva dato le
risposte a tutte le nostre domande. I dubbi erano svaniti. Saliamo, andiamo
nella cappella, un Crocifisso alla parete, una statuetta della Madonna , tutto
mi torna familiare; riaffiorano alla mente i racconti di Giovanni, di quando le
suore erano ancora alla Magione, di quel Crocifisso, di quella Madonna.
Scambiamo qualche parola con le suore e poi ci accompagnano dai bambini.
Entriamo in
questo piccolo appartamento dove le suore aiutate da altri volontari fanno il doposcuola
ai bambini del quartiere. Veniamo travolte da questi bambini. A ognuna di noi
vengono affidati alcuni di loro. Io sono con Marcella e Piero due bambini della
seconda elementare. Hanno già aperto il libro di inglese . Dobbiamo fare i
compiti Simonetta è seduta ad un altro tavolo - altri bambini, altri compiti da
fare. Al mio stesso tavolo c'è Corrado, un altro maestro volontario, anche lui
è amico di Giovanni . I bambini sono vivaci, è difficile farli stare seduti, io
poi non sono abituata . Finiamo i compiti, è l'ora della merenda, i bambini
corrono da una stanza all'altra, urlano, ridono si rincorrono. È arrivato il
momento di andare, salutiamo le suore.
...ci vediamo
mercoledì prossimo. Ciao Marcella, ciao Piero, ci vediamo mercoledì.
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Il ''report'' di oggi,
mercoledì 30 settembre 2015, non ci viene chiesto da Giovanni, ma lo dedichiamo
con tutto il cuore a lui e alla sua vita operosa. Molte volte io e la mia amica
abbiamo condiviso gli stessi pensieri senza dircelo; allo stesso modo abbiamo
covato per settimane il desiderio di incontrare le suore di Madre Teresa di
Calcutta. Volevamo conoscere il luogo di cui Giovanni Palazzotto ci ha parlato qualche
volta e l'attività che ha sempre considerato la più importante fra le tante opere
buone che ha realizzato. Ancora una volta, nessuna di noi due si è espressa a
parole ma, dopo le vicissitudini necessarie per trovare i giusti contatti con
il centro di volontariato, le domande che continuano a ronzare dentro la testa
di entrambe sono <<Cosa stiamo facendo? Perché stiamo andando? Cosa
accadrà lì?>> - mentre a noi si aggiunge una terza amica con le idee
apparentemente molto chiare.
Ci rechiamo dunque alla casa
delle suore presso il quartiere della Guadagna - non attese, e con la testa
riecheggiante di dubbi e interrogativi. Il cancello davanti a noi si è aperto su
una serie di costruzioni che circondano un cortile con muri fatiscenti, ferri a
vista e pareti piene di murales colorati - i bambini del quartiere giocano a
calcio nello spazio al centro. La casa delle suore si trova ricompresa in
questi edifici. Nel frattempo che attendiamo che rispondano al campanello, la
porta viene aperta e veniamo accolte gentilmente.
...come se fossimo attese.
...come se ci trovassimo in un
discorso mai interrotto.
Una semplice innocua frase ci
lascia senza parole: la piccola suora ci guarda tranquillamente, e sorridendo
afferma: <<Giovanni lavora ancora>>, ci volta le spalle e ci
conduce sopra. Per prima cosa ci mostrano una spoglia cappella dove campeggia
solo un enorme crocifisso e, alla sua destra, una piccola Madonnina donata da Paolo
Borsellino. Giovanni aveva molto faticato perché questi due oggetti fossero
trasferiti dal quartiere della Magione, dove prima operavano le suore. La
superiora ci parla con altrettanta calma e serenità - mentre noi tre cerchiamo
ancora di ''focalizzarci''. Ma in fondo sappiamo benissimo perché siamo lì -
non vediamo l'ora di andare dai bambini di Giovanni, anche se quelli di loro
che lo hanno conosciuto con grande probabilità non ci saranno, ma ce ne sono di
nuovi.
Ci rechiamo con una suora
molto cordiale una traversa più in là, presso i locali dove si svolge il
doposcuola. All'ingresso, la piccola Jessica, tra il serio e il faceto, interroga
chi deve entrare e nega o concede permessi: <<Tu sì, tu no. Tu chi sei?
Tu come ti chiami?...>>
Io l'ho fatta franca
spacciandomi per Jessica e spiazzandola per un istante: l'istante necessario a
varcare quella porta oltre la quale i bambini vocianti hanno cominciato a rassettarsi
e recitare preghiere insieme agli adulti; a cantare canzoncine che mi hanno
fatto rimpiangere di non avere mai fatto l'animatrice; e a leggere in coro le
regole del doposcuola scritte in un cartoncino colorato appeso al muro.
A questo punto noi tre ci
dividiamo e siamo ''assegnate'' ai piccoli, ai medi e ai grandi in tre
stanzette decorose e piene di luce con tavoli e sedie in numero forse non sufficiente.
Vedendo una donna adulta,
ovviamente mi presento tendendo la mano. Lo sguardo è diffidente, la stretta di
mano esita mentre mi dice: <<Io sono la mamma di un bambino>> -
come a sottolineare una differenza.
Eleonora è la prima in cui mi
imbatto: silenziosa, timida, mi guarda molto con dei begli occhi neri, cerca il
mio aiuto, ascolta i miei suggerimenti. Ha da ricopiare parole a matita, mentre
cerco di insegnarle trucchi per non farla uscire dalle colonne stabilite.
Giulia mi chiama: è linda,
ordinata, fiduciosa, curiosa - ha tutto il materiale a disposizione (zaino,
libri, quaderni, colori), mentre qui c'è anche chi arriva con niente. Sia pure
con dolcezza, più volte mi chiama per strapparmi a Eleonora, che al contrario
quando sono impegnata si arrende subito: invece di attirare la mia attenzione,
si rivolge timidamente ad un'altra maestra.
Una volontaria mi fa notare,
con aria competente, che non tutti i bambini sono in grado di risolvere le
operazioni enumerando sulle dita, ma che hanno bisogno di contare oggetti
concreti come le matite colorate. Il suggerimento mi serve per aggiustare il
tiro e stare attenta alle differenze fra i bambini.
Una bambina molto piccola mi
rifiuta sin dall'inizio; le chiedo il nome e anche lei mi risponde...
<<Giulia>>... Mi sorge il sospetto che la risposta sia ingannevole
e non significhi altro che la gelosia per le attenzioni che rivolgo a Giulia.
Le offro il mio aiuto, trovo dei pretesti, ma niente: rabbiosamente Angela mi
respinge col braccio, mi sfida, mi guarda sempre torva... Però, mentre sono con
le altre due, grida in modo disarticolato per disturbare tutti, prende la gomma
a Giulia, insomma fa l'impossibile per farsi notare. Avrò tempo le prossime
volte per cercare un contatto.
Anche Peppe è diffidente: l'ordinata
camicia a quadretti nasconde un tipetto molto tosto che non esiterà poi a
scappare a quattro zampe dalla stanza; mi fissa serio, però i suoi occhi
tradiscono una certa indecisione: non sa se rifiutarmi, se ascoltarmi, se
aspettare. Ma questa volta sono io che aspetto - è la strategia migliore. Alla
fine Peppe non vede l'ora che gli scriva ''Bravo'' accanto a tutte le
operazioni che ha svolto.
Mi invento esercizi, cerco di
distribuirmi equamente, li seguo in piedi accorgendomi che le sedie non bastano
e do una mano a sistemare i libri. Ma la suora mi ricorda che ognuno di loro,
prima di fare merenda, deve chiudere lo zaino ordinando le proprie cose
personalmente. La merenda, mi fa notare, è anch'esso un momento difficile - lì
noi tre siamo utili per poter gestire 25 bambini di ogni età che, seduti tutti a
terra in una verandina di neanche un metro per sei, hanno imparato a non
prendere la merendina dal vassoio, ma ad aspettarlo col tovagliolino dalle mani
delle maestre.
Ho imparato un'altra cosa: se
Emanuele o Marcella non ricordano il mio nome che magari è troppo lungo, non è
necessario che io glielo faccia imparare, perché tutti quanti noi volontari
dobbiamo essere chiamati Maestro o Maestra: evidentemente la prima cosa che
conta lì dentro è il ruolo.
Lo possiamo tranquillamente
ammettere: usciamo da lì tutte con l'adrenalina a mille. Le nostre teste sono
rimbombanti delle voci, dei volti, delle novità, delle nostre intenzioni future;
ci scambiamo le piccole esperienze della stanza in fondo, di quella all'ingresso,
delle frasi dette dai bambini. Un volontario si rammarica della perdita di
Giovanni - dice di averlo conosciuto lì. Tornando in macchina, parliamo di tante
cose - ma il nostro pensiero è tutto a Giovanni: a lui che ci ha insegnato; a
lui che ci ha dolcemente accompagnato fino a lì; a lui che ci manda da lassù -
noi lo speriamo - un sorriso paterno e sornione.
Giovanni, questo report è per
te
con amore, le tue compagne di
associazione
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