Il
venticinque giugno di ventiquattro anni fa il giudice Paolo Borsellino teneva
il suo discorso pubblico nell’atrio della Biblioteca comunale di Casa Professa.
Era appena passato un mese dall’eccidio di Capaci, dalla morte del suo amico
Giovanni Falcone della di lui moglie e degli agenti di scorta. E quel
venticinque giugno Paolo Borsellino in quell’atrio lasciò in dote a quella
schiera di cittadini onesti il suo testamento, come se fosse cosciente che di
li a qualche settimana anche lui avrebbe subito la sorte dell’amico Giovanni.
Da ben sei
anni l’Associazione Cittadinanza per la Magistratura in questo stesso posto ed
in questo stesso giorno, ricorda il magistrato e gli uomini della sua scorta
trucidati in una guerra tra forze impari e commistioni politico-mafiose. Ogni
anno l’associazione ha voluto ricordare ponendo di volta in volta una tematica
inerente la questione mafia. Quest’anno si è voluto porre l’attenzione sul fare
memoria, perché come diceva il nostro amato Giovanni Palazzotto “commemorare è
giusto ma ricordare è meglio” e tutti noi siamo convinti che un popolo senza
memoria è un popolo destinato ad uno sterile futuro. Davanti ad una platea poco
numerosa ma fondamentalmente attenta si sono espressi fior di relatori moderati
magistralmente dalla giornalista Gilda Sciortino direttore responsabile di
Radio Off.
L’iniziale
saluto di casa della direttrice della biblioteca comunale Dottoressa Eliana Calandra
ha dato avvio all’incontro in un pomeriggio assolato ed afoso. Subito dopo l’attrice
Sofia Muscato ci racconta le sue sensazioni in quel diciannove luglio del 1992 e
lo fa con una verve dolce ed accattivante che l’applauso finale più che
d’obbligo è spontaneo e sentito. E’ ovvio e non poteva mancare il saluto della
presidente di Cittadinanza per la Magistratura Roberta Sanzone, la quale oltre
a ringraziare gli intervenuti ha tracciato un ricordo del nostro amico Giovanni
Palazzotto anima motoria di CpM perito tragicamente lo scorso 1 agosto lungo la
statale 113.
L’inizio del
dibattito vede la moderatrice Gilda Sciortino introdurre i relatori
ricordandone l’impegno profuso nella cultura della legalità e della lotta a
cosa nostra. Il primo relatore è il dottore Alfonso Giordano – giudice del
primo maxi processo: Esordisce dicendo che il maxiprocesso fu il trionfo
dell’istruttoria di Falcone e Borsellino e di tutto il pool. Ricorda il terrore
di quel periodo e degli arresti che furono fatti con le conseguenti condanne.
Cita Paolo Borsellino quando il 4 luglio del 1992 parlando con i colleghi di
Marsala disse di essere cambiato giustificando quel cambiamento con la perdita
di entusiasmo dovuta alla morte dell’amico Giovanni Falcone. Dopo gli attentati
sembrò essere sancita l’inutilità della lotta a cosa nostra, mentre oggi si
celebra il coraggio e la fede che non si è spenta. “quasi 500 imputati ed oltre
2000 anni di carcere oltre le enormi pene pecuniarie. Si faceva udienza tutti i
giorni e queste udienze si protrassero per oltre 2 anni”. Alfonso Giordano nel
suo finire ricorda anche la signora Agnese Borsellino leggendo una lettera
scritta in occasione di una sua visita alla signora Agnese già gravemente
malata per donarle un libro e sedendosi nella scrivania di Paolo Borsellino non
potè non provare una grande emozione con un nodo che gli stringeva la gola.
L’antropologo
professore Buttitta figlio del grande poeta bagherese Ignazio ricorda Agnese
Borsellino in quanto era stata la sua segretaria e racconta un fatto del tutto inedito,
cioè, che Paolo Borsellino era uno studioso dell’Antico Testamento della Bibbia
e racconta di una chiacchierata con Paolo prima dell’attentato sul libro del
Siracide. “Questa è una città senza memoria” citando Umberto Eco, “una città di
animali”. Terminando il suo sintetico
intervento racconta di una domanda posta un giorno a Paolo Borsellino ed è la
tipica domanda che si pone a personaggi che si occupano di legalità, “Perché lo
fai? Lo faccio perché si compia la volontà della terra che da i suoi frutti”.
Giovanni
Paparcuri, testimone oculare sopravvissuto all’attentato al giudice Chinnici in
via Pipitone Federico dove perse la vita il giudice, l’appuntato dei
carabinieri Bartolotta ed il portiere dello stabile. Giovanni Paparcuri ha
lavorato a contatto con Giovanni Falcone raccontando di tutti quei giorni
chiusi nelle stanze bunker del tribunale. Si auto pone una domanda e si da la
risposta: “Ne vale la pena? Ne vale la pena si perché il sopraggiungere del
senso del dovere, inteso come senso di affetto e passione”. Giovanni pone l’accento sui sopravvissuti
delle stragi, dimenticati dai più probabilmente perché rimasti vivi ed invita a
tenerli in memoria. Racconta il suo primo incontro con Paolo Borsellino che
avvenne in ospedale, dove provò il dolore più forte che avesse provato dopo
l’attentato di via Pipitone, dolore dovuto al fatto che Paolo Borsellino nel
salutarlo poggiò la sua mano sul petto di Giovanni che in quel momento aveva
problemi ai polmoni dovuti all’esplosione dell’attentato. Borsellino quasi
mortificato scusandosi si allontanò.
Giovanni Paparcuri parla di alcuni episodi con il giudice Borsellino
sottolineandone la grande umanità. In questi giorni Giovanni Paparcuri si è
reso protagonista dell’attuazione del museo Falcone – Borsellino all’interno
del tribunale proprio in quei locali che hanno visto i due giudici mettere in
pratica le intuizioni del proprio lavoro. Nella stanza di Falcone ci sono tutti
gli oggetti e gli strumenti che il giudice con il suo gruppo di lavoro
utilizzava, strumenti che oggi fanno sorridere chiunque abbia un minimo di
competenza della strumentazione investigativa. Sulla scrivania di Falcone,
Paparcuri ha posizionato il verbale di interrogatorio fatto a Tommaso Buscetta,
ben 408 pagine scritte interamente a mano.
Il
magistrato dottore Frasca – presidente della ANM Palermo ci racconta del museo
della memoria realizzato perché dopo le stragi gli uffici di Falcone e
Borsellino vennero smembrati e dimenticati, passati nell’oblio del
dimenticatoio. Racconta un po’ degli inizi di Falcone e Borsellino al palazzo
di giustizia dopo la morte di Cesare Terranova nel 1979. Negli uffici a piano
terra del tribunale che davano di fronte al quartiere Capo inizia il primo
processo col metodo Falcone, il processo Spatola uno dei più grandi palazzinari
mafiosi della città. Con il metodo Falcone si intendeva il seguire i flussi di
denaro di cosa nostra. Erano anni particolari quelli del 1980, i morti si
contano con il pallottoliere e Paolo Borsellino si imbatte per caso in processi
di mafia (cosi diceva lui). Con il processo
per l’omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, Rocco Chinnici si
inventa il pool antimafia con Falcone, Borsellino, Guarnotta e Di Lello. La
grande intuizione di Giovanni Falcone fu la procura nazionale antimafia, il
lavoro di gruppo. Il dottore Frasca termina tracciando un breve ritratto di
Francesca Morvillo e della sua grande professionalità.
Il
professore Di Chiara, ex avvocato ed ora docente universitario inizia un
discorso sui giovani e su come dobbiamo porci nei loro confronti. Spesso ci si interroga sull’interesse o meno
dei giovani a questi eventi. Ma i ragazzi ci sono e si vede da alcuni segnali
che ne confermano la presenza. Cita
Montale: “Noi siamo come api ronzanti che formano parole senza rumore e un
giorno queste parole senza rumore che teco educammo nutrite di stanchezze e di
silenzi parranno a un fraterno cuore sapide di sale greco”. Parla di Azzurra, una
sua allieva e della sua tesi, di come
certi giovani si approcciano al contesto della memoria, con la speranza di
mantenere sempre viva la memoria per un futuro migliore concludendo con le
parole di Rocco Chinnici “la rassegnazione sarebbe il pericolo più grande”.
Dopo
l’intervento di Salvatore Licari, commercialista di Canicatti, Vincenzo Agostino, Massimo
Sole, Guido Noto La Diega, Augusta Schiera Agostino, Graziella Accetta e
Liborio Martorana, si conclude l’incontro con il pensiero del dovere coltivare la speranza. E mentre le prime
ombre della sera cominciano a scendere ci si avvia verso l’uscita con la
consapevolezza dell’aver fatto memoria viva e di avere onorato coloro che per
noi misero in gioco la loro vita.
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