domenica 26 giugno 2016

Fare memoria viva di Liborio Martorana



Il venticinque giugno di ventiquattro anni fa il giudice Paolo Borsellino teneva il suo discorso pubblico nell’atrio della Biblioteca comunale di Casa Professa. Era appena passato un mese dall’eccidio di Capaci, dalla morte del suo amico Giovanni Falcone della di lui moglie e degli agenti di scorta. E quel venticinque giugno Paolo Borsellino in quell’atrio lasciò in dote a quella schiera di cittadini onesti il suo testamento, come se fosse cosciente che di li a qualche settimana anche lui avrebbe subito la sorte dell’amico Giovanni.
Da ben sei anni l’Associazione Cittadinanza per la Magistratura in questo stesso posto ed in questo stesso giorno, ricorda il magistrato e gli uomini della sua scorta trucidati in una guerra tra forze impari e commistioni politico-mafiose. Ogni anno l’associazione ha voluto ricordare ponendo di volta in volta una tematica inerente la questione mafia. Quest’anno si è voluto porre l’attenzione sul fare memoria, perché come diceva il nostro amato Giovanni Palazzotto “commemorare è giusto ma ricordare è meglio” e tutti noi siamo convinti che un popolo senza memoria è un popolo destinato ad uno sterile futuro. Davanti ad una platea poco numerosa ma fondamentalmente attenta si sono espressi fior di relatori moderati magistralmente dalla giornalista Gilda Sciortino direttore responsabile di Radio Off.
L’iniziale saluto di casa della direttrice della biblioteca comunale Dottoressa Eliana Calandra ha dato avvio all’incontro in un pomeriggio assolato ed afoso. Subito dopo l’attrice Sofia Muscato ci racconta le sue sensazioni in quel diciannove luglio del 1992 e lo fa con una verve dolce ed accattivante che l’applauso finale più che d’obbligo è spontaneo e sentito. E’ ovvio e non poteva mancare il saluto della presidente di Cittadinanza per la Magistratura Roberta Sanzone, la quale oltre a ringraziare gli intervenuti ha tracciato un ricordo del nostro amico Giovanni Palazzotto anima motoria di CpM perito tragicamente lo scorso 1 agosto lungo la statale 113.
L’inizio del dibattito vede la moderatrice Gilda Sciortino introdurre i relatori ricordandone l’impegno profuso nella cultura della legalità e della lotta a cosa nostra. Il primo relatore è il dottore Alfonso Giordano – giudice del primo maxi processo: Esordisce dicendo che il maxiprocesso fu il trionfo dell’istruttoria di Falcone e Borsellino e di tutto il pool. Ricorda il terrore di quel periodo e degli arresti che furono fatti con le conseguenti condanne. Cita Paolo Borsellino quando il 4 luglio del 1992 parlando con i colleghi di Marsala disse di essere cambiato giustificando quel cambiamento con la perdita di entusiasmo dovuta alla morte dell’amico Giovanni Falcone. Dopo gli attentati sembrò essere sancita l’inutilità della lotta a cosa nostra, mentre oggi si celebra il coraggio e la fede che non si è spenta. “quasi 500 imputati ed oltre 2000 anni di carcere oltre le enormi pene pecuniarie. Si faceva udienza tutti i giorni e queste udienze si protrassero per oltre 2 anni”. Alfonso Giordano nel suo finire ricorda anche la signora Agnese Borsellino leggendo una lettera scritta in occasione di una sua visita alla signora Agnese già gravemente malata per donarle un libro e sedendosi nella scrivania di Paolo Borsellino non potè non provare una grande emozione con un nodo che gli stringeva la gola.
L’antropologo professore Buttitta figlio del grande poeta bagherese Ignazio ricorda Agnese Borsellino in quanto era stata la sua segretaria e racconta un fatto del tutto inedito, cioè, che Paolo Borsellino era uno studioso dell’Antico Testamento della Bibbia e racconta di una chiacchierata con Paolo prima dell’attentato sul libro del Siracide. “Questa è una città senza memoria” citando Umberto Eco, “una città di animali”.  Terminando il suo sintetico intervento racconta di una domanda posta un giorno a Paolo Borsellino ed è la tipica domanda che si pone a personaggi che si occupano di legalità, “Perché lo fai? Lo faccio perché si compia la volontà della terra che da i suoi frutti”.
Giovanni Paparcuri, testimone oculare sopravvissuto all’attentato al giudice Chinnici in via Pipitone Federico dove perse la vita il giudice, l’appuntato dei carabinieri Bartolotta ed il portiere dello stabile. Giovanni Paparcuri ha lavorato a contatto con Giovanni Falcone raccontando di tutti quei giorni chiusi nelle stanze bunker del tribunale. Si auto pone una domanda e si da la risposta: “Ne vale la pena? Ne vale la pena si perché il sopraggiungere del senso del dovere, inteso come senso di affetto e passione”.  Giovanni pone l’accento sui sopravvissuti delle stragi, dimenticati dai più probabilmente perché rimasti vivi ed invita a tenerli in memoria. Racconta il suo primo incontro con Paolo Borsellino che avvenne in ospedale, dove provò il dolore più forte che avesse provato dopo l’attentato di via Pipitone, dolore dovuto al fatto che Paolo Borsellino nel salutarlo poggiò la sua mano sul petto di Giovanni che in quel momento aveva problemi ai polmoni dovuti all’esplosione dell’attentato. Borsellino quasi mortificato scusandosi si allontanò.  Giovanni Paparcuri parla di alcuni episodi con il giudice Borsellino sottolineandone la grande umanità. In questi giorni Giovanni Paparcuri si è reso protagonista dell’attuazione del museo Falcone – Borsellino all’interno del tribunale proprio in quei locali che hanno visto i due giudici mettere in pratica le intuizioni del proprio lavoro. Nella stanza di Falcone ci sono tutti gli oggetti e gli strumenti che il giudice con il suo gruppo di lavoro utilizzava, strumenti che oggi fanno sorridere chiunque abbia un minimo di competenza della strumentazione investigativa. Sulla scrivania di Falcone, Paparcuri ha posizionato il verbale di interrogatorio fatto a Tommaso Buscetta, ben 408 pagine scritte interamente a mano.
Il magistrato dottore Frasca – presidente della ANM Palermo ci racconta del museo della memoria realizzato perché dopo le stragi gli uffici di Falcone e Borsellino vennero smembrati e dimenticati, passati nell’oblio del dimenticatoio. Racconta un po’ degli inizi di Falcone e Borsellino al palazzo di giustizia dopo la morte di Cesare Terranova nel 1979. Negli uffici a piano terra del tribunale che davano di fronte al quartiere Capo inizia il primo processo col metodo Falcone, il processo Spatola uno dei più grandi palazzinari mafiosi della città. Con il metodo Falcone si intendeva il seguire i flussi di denaro di cosa nostra. Erano anni particolari quelli del 1980, i morti si contano con il pallottoliere e Paolo Borsellino si imbatte per caso in processi di mafia (cosi diceva lui).  Con il processo per l’omicidio del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, Rocco Chinnici si inventa il pool antimafia con Falcone, Borsellino, Guarnotta e Di Lello. La grande intuizione di Giovanni Falcone fu la procura nazionale antimafia, il lavoro di gruppo. Il dottore Frasca termina tracciando un breve ritratto di Francesca Morvillo e della sua grande professionalità.
Il professore Di Chiara, ex avvocato ed ora docente universitario inizia un discorso sui giovani e su come dobbiamo porci nei loro confronti.  Spesso ci si interroga sull’interesse o meno dei giovani a questi eventi. Ma i ragazzi ci sono e si vede da alcuni segnali che ne confermano la presenza.  Cita Montale: “Noi siamo come api ronzanti che formano parole senza rumore e un giorno queste parole senza rumore che teco educammo nutrite di stanchezze e di silenzi parranno a un fraterno cuore sapide di sale greco”.  Parla di Azzurra, una sua allieva e della sua tesi,  di come certi giovani si approcciano al contesto della memoria, con la speranza di mantenere sempre viva la memoria per un futuro migliore concludendo con le parole di Rocco Chinnici “la rassegnazione sarebbe il pericolo più grande”.

Dopo l’intervento di Salvatore Licari, commercialista di Canicatti, Vincenzo Agostino, Massimo Sole, Guido Noto La Diega, Augusta Schiera Agostino, Graziella Accetta e Liborio Martorana, si conclude l’incontro con il pensiero del dovere  coltivare la speranza. E mentre le prime ombre della sera cominciano a scendere ci si avvia verso l’uscita con la consapevolezza dell’aver fatto memoria viva e di avere onorato coloro che per noi misero in gioco la loro vita.

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